Tommaso Gaudio racconta all’Aneb di Molfetta l’ascesa e il declino dei cantieri navali
Felice de Sanctis e Tommaso Gaudio
MOLFETTA - La Manchester del Sud. Una definizione appropriata di una città, attiva, vivace grazie a lavoratori illuminati, una città operosa che deve il suo prestigio al mare, la nostra.
E non è un revival malinconico del tempo che fu quello che ha visto, presso la sede A.N.E.B. (Associazione Nazionale Educatori Benemeriti) la partecipazione alla presentazione del libro di Tommaso Gaudio "Lo scalo di Molfetta 1947 -2015 ascesa e declino. Storia, uomini, costruzioni, curiosità, prospettive" (Quindici edizioni 2019).
Dopo la presentazione del presidente prof. Michele Laudadio, è toccato al dott. Felice de Sanctis, direttore di Quindici, che ne ha curato la prefazione, introdurre Tommaso Gaudio che ha illustrato i risultati della certosina ricerca della cantieristica navale cittadina, un libro che ha ricevuto rilevanti gratificazioni soprattutto fuori dal territorio pugliese.
In origine vi era soltanto un’attività di riparazione degli scafi che, attraverso un sistema di corde, venivano portati sulla riva di cala San Giacomo. Successivamente la costruzione fu intrapresa da artigiani che, grazie alla concessione di suoli tra via San Carlo e la spiaggia Maddalena, intrapresero l’attività di costruzione degli scafi, ricoverando gli attrezzi in suppinne. L’attività divenne talmente florida che i nostri maestri d’ascia ben presto varcarono i confini della Spiaggia Maddalena per occupare altri spazi in città.
E non era raro essere presenti quando gli scafi attraversavano la città su grandi carri che giungevano nel porto per il varo. La fama dei nostri maestri d’ascia portò la cantieristica molfettese ad ottenere commesse anche dalla Marina Militare italiana, anche per scafi che dovevano solcare l’Oceano, e tutto grazie a insegnamenti tramandati verbalmente.
A Tommaso Gaudio, grazie agli insegnamenti di suo padre, lavoratore nei cantieri navali Tattoli, veniva ricordato che “il mestiere non si impara, si ruba”.
Ma la cura della ricerca storica è pari alla cura della ricerca dei soprannomi. Ciascun costruttore veniva identificato con un soprannome. Tattoli, Salvemini, Ragno, De Ceglia e successivamente Iacono, sono alcuni tra coloro che hanno portato lustro, che hanno creato un indotto che ha portato benessere. Costruzione di alberi, remi, reti, un’intera città che “navigava” verso il medesimo obiettivo.
Ma quali le cause del declino? Molto probabilmente una concorrenza non sempre leale, l’introduzione di nuovi materiali e un impegno richiesto, in termini di capitali e risorse umane, che non sempre ripagava degli sforzi profusi, basti pensare, come afferma Tommaso Gaudio, ricordando suo padre, che a volte, come per la costruzione dell’Adriana Galliani dei cantieri Tattoli presso i quali lavorava, non si riposava, non si tornava a casa e le massaie o i figli, portavano alimenti e indumenti puliti ai propri cari sui cantieri.
A tutt’oggi risulta ancora in attività il cantiere Cappelluti e la tradizione dei maestri d’ascia non si è interrotta grazie a un giovane volenteroso che, con molto impegno e sacrificio, ha superato l’esame per l’iscrizione all’albo dei maestri d’ascia.
Un insegnamento per non spezzare quel filo sottile che lega il passato ad un’imprenditoria che può ancora tornare.
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Autore: Beatrice Trogu