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Tammacco e Minervini, retorica da quattro soldi
15 settembre 2020

L’amministrazione Minervini ha da pochi giorni dichiarato esplicitamente il proprio appoggio a Raffaele Fitto come candidato presidente alle prossime elezioni regionali pugliesi. Il candidato di riferimento di Tommaso Minervini è Saverio Tammacco, che a Molfetta dovrà vedersela con un altro candidato nel suo stesso schieramento: non un candidato qualunque, bensì l’ex senatore Antonio Azzollini, un pezzo di storia della nostra città e non solo. Alcuni sono rimasti stupiti non tanto per il repentino cambio di casacca: Tommaso Minervini ci ha abituato a salti ben più rocamboleschi negli ultimi 20 anni. A meravigliare è stata piuttosto la rapidità del gesto. Fino a qualche giorno prima, infatti, il sindaco rivendicava l’asse con la regione e il suo rapporto di fiducia con Emiliano, che ha permesso gran parte delle opere pubbliche degli ultimi anni. Opere importanti, alcune anche molto utili, questo è fuori discussione. Del resto Tommaso è uno che sa fare bene l’amministratore, far quadrare i conti e finalizzare le opere. Quanto a visione politica, invece, è tutto un altro discorso. Del resto, anche Tammacco ha ricevuto incarichi di responsabilità da Emiliano, ma ciò ha comportato ben pochi scrupoli e neanche troppi giri di parole quando ha deciso di sbattere la porta. C’è però da segnalare almeno un aspetto in questa vicenda. Tutti i pezzi dell’attuale amministrazione attualmente impegnati nella campagna elettorale per Fitto si stanno impegnando a giustificare la propria scelta come un processo di auto- determinazione, presentandola come l’azione collettiva di una generazione che ha deciso di sottrarsi ai padroni per diventare classe dirigente e riscattare Molfetta. Destra e sinistra non c’entrano, si tratta di una “generazione” al di là dei partiti, degli schieramenti politici, delle ideologie etc., che ha a cuore solo il bene della città. Capisco che fare marketing politico di questi tempi è importante perché da lì passa la costruzione del consenso, però qui si tratta di retorica da quattro soldi, che non rende onore ad una città che pure ha ospitato dibattiti politici importanti e che è stata arena di conflitti e di lotte fra posizioni nette, senza sconti. Gran parte degli attuali componenti dello schieramento di Tammacco – quest’ultimo compreso – hanno avuto ruoli chiave all’interno delle precedenti amministrazioni di centro-destra a guida Azzollini. Si tratta di persone che avevano ben poco a che spartire con quelli che si opponevano ai “padroni”, che rivendicavano spazi di partecipazione e lottavano per un nuovo modo di fare politica, alternativo alla decisione del “capo”. Loro con quelle “ideologie” a cui oggi si oppongono – senza specificare esattamente a cosa si riferiscono – le hanno abbracciate eccome. Una in particolare: quella della destra azzolliniana, fondata sul decisionismo dall’alto e sulla centralità del mercato come principio di regolazione delle relazioni sociali, attraverso la mediazione delle grandi opere. Con una differenza decisiva rispetto al senatore: lui padroneggia bene quell’idea e ne ha fatto una visione – eminentemente politica, senza sotterfugi, senza scuse – della città. Loro invece brancolano nel buio, saltellano da una parte all’altra alla ricerca di un posto presso un padrone: altro che “riscatto di una generazione”, Raffaele Fitto è l’espressione di una classe dirigente vecchia vent’anni, che ha messo radici nelle poltrone d’Italia e d’Europa e che adesso va a braccetto con Salvini e la Meloni, che fino all’altro giorno se la prendevano con i meridionali come con i migranti. Si muovono a tentoni senza assumere il fatto che questioni che pensano “neutre” come le opere pubbliche, la digitalizzazione, la mobilità etc. sono invece assolutamente politiche, in quanto implicano un’idea dello stare insieme, una posizione precisa rispetto alle disuguaglianze, al rapporto fra mercato e società, al ruolo della cultura, della diversità etc. Il dibattito interno alla destra non mi ha mai riguardato, sono sempre stato dall’altra parte della barricata. Ma è chiaro che se dovessi scegliere fra una destra che sa cos’è la destra e un’altra che gioca a nascondersi per mascherare le proprie mancanze, sceglierei sempre la prima. Giacomo Pisani

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