Salvemini e le accuse del Fascio di Firenze nel ’23
Una pagina di storia poco conosciuta
Gaetano Salvemini si era impegnato per un ciclo di lezioni da tenersi al King’s College di Londra su “La politica estera italiana dal 1871 al 1915”. Le lezioni dovevano cominciare il 9 ottobre 1923, ma alcuni giornali inglesi ne avevano dato notizia già in settembre. Di conseguenza il quotidiano romano L’Idea Nazionale, organo dei nazionalisti, colse la palla al balzo per deplorare che si fosse lasciato partire per l’estero «l’antitaliano » Salvemini. Anche il direttorio del Fascio di Firenze non si lasciò sfuggire l’occasione per denigrare Salvemini, che nel 1919 aveva pubblicato con Carlo Maranelli in seconda edizione La questione dell’Adriatico, rispettosa delle etnie italiana e slava, accusandolo di filoslavismo, diffamazione antitaliana e bieco disfattismo, e il 4 ottobre pubblicò il suo «ordine del giorno » sul giornale fiorentino La Nazione, riservando una stoccata anche a Carlo Sforza, il quale con Giovanni Giolitti aveva concluso nel 1920 il trattato di Rapallo, che assegnava l’Istria, alcune isole e Zara al Regno d’Italia, mentre lasciava al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni il resto della Dalmazia, abitata in grande prevalenza da slavi. Eccone il testo, emblematico del crescente livore fascista antisalveminiano: «Il Direttorio del Fascio di Firenze denuncia ai fascisti di tutta Italia che Gaetano Salvemini, colui che volle la guerra d’Italia per la patria altrui, e che ne disertò la grande causa, colui che dopo la vittoria negò per la patria altrui l’italianità dell’Adriatico, inizia il 9 ottobre nell’Ateneo di Londra un corso di Storia della nostra politica estera. Vittorio Veneto e la marcia di Roma avranno, auspice il conte Sforza grande ammainatore della nostra bandiera, nelle severe aule dell’Università londinese, un diffamatore italiano, nel giorno del loro glorioso anniversario. Zara, disperata, i Fasci della Dalmazia redenta, gli italiani di Sebenico, di Trau, di Spalato hanno lanciato ai fratelli del Fascio fiorentino il grido del loro dolore e del loro fierissimo sdegno per l’odiosa sfida gettata dal bieco disfattista alla giovinezza che nelle trincee e nelle piazze d’Italia ha sanguinato e combattuto per la grandezza della Patria». Il comunicato del direttorio del Fascio di Firenze, il quale ignorava che Mussolini avesse negato il rilascio del passaporto a Salvemini, che per espatriare aveva sopperito con un passaporto «surrettizio», proseguiva in questi termini: «Il Fascio fiorentino nel nome sacro della Dalmazia tradita, dei martiri e dei combattenti d’Italia, raccoglie la sfida di Gaetano Salvemini, e il grido di dolore dei fratelli dalmati, e impegna i deputati fascisti ad esigere dalle competenti autorità precise informazioni sulle ragioni e sui criteri che le determinarono a rilasciare al Salvemini i passaporti necessari a ogni suddito italiano per recarsi in Inghilterra mentre era noto il disegno antinazionale di costui; a richiedere al Governo nazionale che sia interdetto al Salvemini di varcare la frontiera italiana, qualora ne sia uscito in frode alle leggi dello Stato; impegna gli eletti al Fascio nelle amministrazioni comunale e provinciale, gli insegnanti e gli studenti fascisti del R. Istituto di Studi Superiori e i fascisti tutti, a tenersi in disposizione del Direttorio del Fascio di Firenze per quell’azione morale che nei limiti della legge, valga a somministrare al rinnegatore dell’italianità dell’Adriatico il premio dell’iniquo baratto. Il Direttorio dà mandato alla Segreteria politica di comunicare il presente ordine del giorno a tutti i Fasci d’Italia ed ai Fasci dell’estero e di richiedere la loro solidarietà». Va detto che l’ordine del giorno era dovuto in buona sostanza a Michelangelo Zimolo, che aveva il dente avvelenato contro «l’antitaliano» Salvemini. Zimolo era un giornalista dalmata, già tenente degli alpini nel 1918, poi protagonista del fascismo zaratino e alla fine del 1922 nominato segretario provvisorio del Fascio di Firenze col mandato di fondere in un nuovo direttorio i due fasci fiorentini preesistenti. Letta sul giornale la deliberazione del Fascio di Firenze, Piero Jahier, amico di Salvemini, inviò una lettera a Piero Gobetti, allegandogli «con rossore di vergogna come italiano e come volontario di guerra» il testo dell’ordine del giorno. Nella missiva Jahier protestava così contro la diffamazione fascista: «Non è la prima volta che italiani recalcitrano contro maestri di carattere e di dottrina e assegnan loro per premio il confino. Ma per l’onor del mio paese confido che dalla scuola e dalla vita dove Gaetano Salvemini prodigò con disinteressata fatica i tesori del suo grande ingegno e del suo grandissimo cuore prorompa la protesta della coscienza civile. Né l’Inghilterra è nazione da accogliere nelle sue aule universitarie, né l’Italia è nazione da allevare nelle proprie rinnegati e diffamatori. E si avvia a decadenza sicura il paese che per intolleranza politica disconosce la libertà dell’ingegno, suprema dignità di individui e nazioni». Piero Gobetti non solo pubblicò la lettera di Jahier sulla rivista settimanale di politica Rivoluzione liberale del 16 ottobre 1923, ma vi aggiunse il suo “Commento quotidiano” su Il caso Salvemini, paragonato moralmente a Socrate. La sua sarcastica postilla va riportata integralmente: «Il caso Salvemini è uno degli esempi più umilianti di pazzia collettiva, di ribellione e di persecuzione degli italiani verso un uomo che con le sue qualità di educatore superiore, di preveggenza, di eroismo morale, costituisce l’insulto più sfacciato e insopportabile per un popolo buontempone, accomodante, festaiolo. Non è una questione di idee o di parte politica: basta la presenza fisica di Gaetano Salvemini per far perdere la testa a tre quarti dei nostri giornalisti e letteratucoli. Costoro sono troppo goffi per non essere in buona fede. Essi accusano con perfetta logica, credono senza secondi fini che il professore Gaetano Salvemini sia traditore, disfattista, venduto. Essi hanno ragione di protestare, di far capire la loro incompatibilità di carattere con un uomo che fa torto agli istinti del suo popolo con tutta la sua vita di sacrificio, di dedizione alle cause più disinteressate, di moralismo estenuante. Bisogna bestemmiare la provvidenza che lo ha fatto nascere in Italia. Non ne aveva il diritto chi non paga il suo tributo alla retorica, non partecipa alle sagre, va in parlamento senza inserirsi nella realtà, chi crede sul serio alla scienza, chi è sempre stato all’opposizione contro tutte le camorre, ha pagato di persona in tutti i pericoli. Sia lapidata l’ingenuità e l’onestà nella terra dei furbi! È naturale che gli allegri italiani non vedano chiaro in questo esempio di vita austera, come non vedevano chiaro gli Ateniesi nelle domande importune di Socrate. Essi finiscono col convincersi che si tratti di un’astuzia più raffinata e vi trovano i segni di una vera e propria mostruosità morale. Bisogna congratularsi con i giovani insultatori del professore Salvemini: essi hanno il diritto dalla loro parte. Concediamo la legittima difesa dell’ignoranza e dell’incoscienza contro le pretese della scienza e della morale». Nel frattempo altri due amici e discepoli di Salvemini, Ernesto Rossi e Nello Rosselli, il 4 ottobre avevano inviato da Firenze allo storico il comunicato del Fascio fiorentino, invitandolo a guardarsi dai compatrioti del Fascio di Londra. Salvemini aveva mandato la sua risposta a Rossi da Londra l’8 ottobre, alla vigilia della prima lezione al King’s College, rassicurandolo: «Carissimo, il comunicato di Michelangiolo Zimolo non mi fa né caldo né fresco. Avendo ottenuto il permesso regolare, non ho nessun motivo di non tornare in Italia: dunque tornerò ai primi di dicembre, e sarà quel che sarà. Ci debbono pensare più loro ad assalirmi che io a difendermi. Le mie conferenze di qui saranno pubblicate integramente sul Lavoro. I cretini alla Zimolo non ci capiranno nulla; ma gli altri capiranno. Ho scritto a Genova che ne mandino una copia al Circolo» di Cultura di Firenze. Dopo i saluti affettuosi, Salvemini, per rassicurare ulteriormente Rossi e Rosselli, aggiunse un poscritto: «Ieri – consigliato dagli amici – portai il biglietto a Della Torretta; oggi mi ha riportato qui il suo: e domani verrà alla concione. Questo è segno che a Roma non sono zimoleschi. Queste cose non mettele in piazza: vi serviranno per vostra tranquillità». In realtà l’ambasciatore facente funzioni Pietro Tomasi Della Torretta, impedito, non poté intervenire alla conferenza di apertura, ma inviò un suo rappresentante dell’ambasciata italiana a Londra. Inutile aggiungere che la prima conferenza di Salvemini al King’s College, nonostante la sua preoccupazione per la pronuncia inglese, riscosse un meritato successo. © Riproduzione riservata