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Cosa succede nel Partito Democratico di Molfetta?
18 dicembre 2025

 MOLFETTA - Sento circolare, da più parti, voci su una possibile candidatura dell’avvocato Pietro Mastropasqua, già candidato del centrodestra alle ultime elezioni comunali, a sindaco di una coalizione che comprenda anche il Partito Democratico. Secondo le stesse indiscrezioni, tale ipotesi sarebbe avallata da un iscritto al circolo PD di Molfetta che sostiene di rappresentare una vasta area del partito.

Ritengo doveroso chiarire pubblicamente la mia totale contrarietà a questa prospettiva. Lo stesso iscritto, nel corso degli anni, ha contribuito a screditare il Partito Democratico ed è stato tra i principali artefici della scelta che, nel 2017, portò il PD a sostenere la candidatura di Tommaso Minervini a sindaco. Allora si sostenne che una coalizione di centrosinistra fosse perdente, che non ci fossero le condizioni politiche, che fosse necessario “allargare”, “mediare”, “adattarsi”.

In nome di quella logica, il PD rinunciò alla propria identità, convincendosi che si trattasse di un sacrificio tattico. Non lo fu. Fu un errore politico grave, pagato dalla città e dal Partito.

Dopo appena tre anni, il PD fu costretto a uscire da quella maggioranza, prendendo atto che le opacità amministrative, le scelte sbagliate e i metodi di governo erano diventati insostenibili. Quella esperienza non ha prodotto solo un fallimento amministrativo: ha generato sfiducia, disaffezione e l’allontanamento di una parte significativa dell’elettorato dal PD.

Quella vicenda avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Invece oggi vedo riaffacciarsi la stessa logica: la paura di perdere, il tentativo di tenere insieme l’inconciliabile, la rinuncia preventiva a una chiara identità progressista. Qui non siamo di fronte a una normale dialettica interna, ma a due idee inconciliabili di Partito Democratico.

Da una parte c’è chi pensa che il PD debba essere, senza ambiguità, una forza progressista, schierata con la parte migliore della città, capace di costruire alleanze limpide con la sinistra e con il civismo democratico. Dall’altra c’è chi resta nel PD per calcolo personale, adattando linguaggi, alleanze e posizioni alle convenienze del momento.

Fingere che questa differenza non esista non produce unità, ma paralisi. E l’unità senza chiarezza non rafforza il Partito: lo consuma.

Gaetano Salvemini, parlando di Mauro De Nicolo (omen nomen), sindaco di Molfetta nel 1908, lo definì “uomo funesto più che la peste”. Non era un insulto, ma una categoria politica: indicava chi, con il proprio agire, logora dall’interno ogni progetto collettivo. Io non sono disposto a far finta che certi comportamenti non lascino macerie.

Se vogliamo davvero costruire una coalizione progressista credibile per il 2026, dobbiamo dire con chiarezza che non tutto è compatibile con tutto. E che non si può chiedere fiducia alla città se prima non facciamo chiarezza dentro il Partito Democratico.

Pietro Capurso
(iscritto al Partito Democratico dalla fondazione)

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