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Puglia, Zone economiche speciali per la rinascita del Sud: possibilità o illusione?
15 luglio 2017

A 60 km da Varsavia, nel cuore della Polonia rurale, nel voivodato della Masovia c’è il paese di Belsk Duzy. Un pugno di case basse, una chiesa di pietra bianca, una strada che sale e una che scende, 6.000 abitanti in tutto e al suo fianco una rete di giganteschi parallelepipedi bianchi che si allungano a perdita d’occhio verso le sconfinate campagne polacche. Sono gli edifici della Ferrero, che qui ha aperto i primi stabilimenti nel 1997 e che di recente ha deciso di rilanciare costruendo un nuovo impianto di produzione e magazzini per un investimento complessivo di circa 35 milioni di euro. L’impianto non produce solo per il mercato polacco, ma anche per Germania, Regno Unito, Scandinavia, Italia, Spagna e altri stati dell’Europa centro-orientale, per un totale di oltre 60 Paesi. Il caso di Belsk, un colosso internazionale che investe in uno sperduto paese della campagna polacca, fa il paio con quello più famoso della Fiat che in Polonia investe a piene mani da anni, imitata da altri giganti del settore come Toyota e General Motors. L’industria torinese ha da poco annunciato l’addio della Panda dallo stabilimento di Pomigliano, per trasferire la produzione nello stabilimento di Tychy dove già sono fabbricate vetture di successo come la Fiat Panda del 2003, la Lancia Ypsilon e la nuova 500. Una delle chiavi del successo del boom di investimenti che da anni riguarda la Polonia sono le Zes: Zone Economiche Speciali. Le Zes sono aree geografiche circoscritte che hanno l’obiettivo di attrarre investimenti esteri o extra-regionali, attraverso incentivi, agevolazioni fiscali, deroghe normative. In pratica chi investe qui ottiene grasse detrazioni sul valore dell’investimento (30% e il 50%), robusti aiuti pubblici, burocrazia ridotta all’osso, speciale regime fiscale, regime doganale d’eccezione, acquisto dei terreni, affitto degli uffici a prezzi stracciati. Per ottenere l’esenzione, le imprese richiedenti devono impegnarsi in un investimento minimo di 100.000 euro o nel mantenimento del business e della forza lavoro nell’area per almeno cinque anni. Musica per le multinazionali che a frotte si precipitano nello stato polacco ingolosite anche dai bassi salari della manodopera. Un vero e proprio caso studio che ha attratto l’attenzione anche della Svimez, sostenitrice della prima ora delle Zes, che dal suo ufficio studi fa sapere che «di particolare importanza in Europa è il caso delle Zes in Polonia, che conferma la validità delle misure intraprese: tra il 2005 e il 2015, gli investimenti localizzati nelle Zes sono stati pari a circa 20 miliardi di euro, con un incremento di quasi 213 mila posti di lavoro». Secondo questa lettura, le Zes avrebbero messo il turbo all’economia polacca che da anni ormai viaggia a pieno vapore e che, unica in Europa, non ha minimamente risentito della crisi del 2008. La crescita prevista per l’anno in corso del prodotto interno lordo è del 3,5 per cento, il debito sovrano ammonta al 52,5 per cento del Pil, il disavanzo al 2,8, la disoccupazione al 7 per cento. La percentuale di cittadini a rischio povertà è sensibilmente scesa, dal 30,8 per cento del 2008 al 24,7 per cento attuale, in controtendenza col resto della Ue. Dalla Svimez dunque si fregano le mani e invocano il modello polacco anche per il Sud Italia incagliato ancora in una depressione economica che sembra non aver fine. Anche nel 2016 - osserva la Svimez- il divario del tasso di occupazione rispetto alla Ue a 28 Paesi si è allargato, inoltre nella fascia 15-34 anni, considerando sia il sistema istruzione/formazione sia l’occupazione, il Sud fa peggio anche di Grecia e Spagna. Perché allora, non trasferire il ridente distretto economico di Belsk Duzy qui al Sud, magari in Puglia, nella provincia di Bari? Adriano Giannola, già professore ordinario di Economia bancaria alla Federico II, presidente Svimez, economista, classe 1943 non ha dubbi: ‘‘serve una legge per introdurre le zone economiche speciali. Spicca il modello polacco: tra il 2005 e il 2015, gli investimenti localizzati nelle Zes polacche sono stati pari a circa 20 miliardi di euro, con un incremento di quasi 213 mila posti di lavoro’’. Ora alle Zes ci pensa anche il governo italiano. Tuttavia uno studio attento dei dati a disposizione indurrebbe alla prudenza. Francesco Bruno de ‘‘Il Sole 24 ore’’ fa notare come: ‘‘questi risultati regionali positivi meritano comunque di essere contestualizzati negli altrettanti positivi dati macroeconomici dell’intera nazione polacca, che tra il 1992 e il 2008 è cresciuta in media di quasi il 4,5% e che ha resistito bene alla crisi del 2008. Ad esempio la regione di Mazowieckie (che include Varsavia) è passata da un PIL pro capite più basso del 17,1% rispetto alla nel 2008 ad uno più alto dell’8,4% nel 2014. In generale, le regioni più sviluppate della Polonia hanno avuto una crescita del PIL pro capite del 111,3 % tra il 2001 e il 2014, contro un 95,7 % delle regioni più povere’’. Le Zes, insomma, sono legate alla generale tendenza economica del Paese. Nel mondo infatti si contano circa 2.700 Zes, Cina e Dubai gli esempi più noti. In Europa sono circa una settantina, 14 delle quali istituite in Polonia. Ma non in tutti i casi si è trattato di un successo. ‘‘Queste ultime possono rappresentare un successo solo qualora’’ – spiega ancora Bruno – ‘‘riescano a provocare trasformazioni strutturali nelle economie interessate, sostenibili nel lungo termine. Se ciò non avviene (come nel caso della Repubblica Dominicana ad esempio), si finisce per accentuare le distorsioni già esistenti’’. Di certo il Meridione italiano è caratterizzato da un gap di produttività maggiore di 30 punti rispetto al centro-nord, sebbene il costo del lavoro sia uguale. Attualmente non possono essere molte le motivazioni economiche per investire nel Mezzogiorno. Nonostante tale ultimo argomento sembri propendere in favore delle Zes, bisogna diffidare delle formulette magiche. E noi molfettesi dovremmo ricordacelo bene. Le famigerate Zone Franche Urbane, che vedono importanti agevolazioni fiscali per i territori interessati, con risorse impegnate pari a diverse centinaia di milioni di euro e per mesi bandiera del nostro sen. Antonio Azzollini, non hanno rivoluzionato l’economia pugliese. Perché per la crescita del Sud non ci vogliono leggi speciali ma leggi nazionali che favoriscano sviluppo e crescita, investimenti del pubblico e del privato dando in primis la priorità all’occupazione giovanile.

Autore: Onofrio Bellifemine
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