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Padroni della tecnologia, mai succubi: Paolo Crepet al “Ghigno” di Molfetta con ‘Baciami senza rete’
18 luglio 2017

MOLFETTA - Ogni qualvolta c’è un’innovazione, in qualsiasi ambito, l’obiettivo dell’uomo è quello di superarla; eppure la tecnologia ha qualcosa di diverso da tutte le altre innovazioni che la precedono: è di questo che si discute in Piazza Municipio durante il quarto appuntamento del Festival letterario ‘Storie Italiane’ a cura della libreria ‘Il Ghigno’, il cui ospite speciale è lo psichiatra, sociologo e scrittore italiano Paolo Crepet, il quale si confronta con la giornalista e insegnante casertana Marilena Lucente e con il presidente dell’Exprivia Domenico Favuzzi.

Spunto di riflessione il romanzo ‘Baciami senza rete, buone ragioni per sottrarsi alla seduzione digitale’ di Paolo Crepet, autore di altri testi che spaziano su diversi temi, ma che questa volta vuole toccare il punto debole e allo stesso tempo il punto di forza della società: un tema che viene sovente affrontato in maniera banale o addirittura sottovalutato, ma che sicuramente coinvolge tutti a trecentosessanta gradi.

L’ultimo romanzo di Crepet, come sottolinea il dott. Favuzzi, non invita a mettere da parte l’evoluzione che ha cambiato il modo di vivere di miliardi di persone, ma spinge chi ne è dipendente a riflettere sull’(ab)uso che ne viene fatto. Eppure Crepet, a romanzo compiuto, si rimprovera di esser stato troppo moderato: probabilmente avrebbe dovuto usare toni più chiari, ma anche più critici. Gli stessi toni che hanno attraversato l’incontro, durante cui non solo sono stati considerati gli aspetti sociali ed educativi della tecnologia ma si è parlato anche dei fattori economici. Spesso ci si dimentica di come dietro quegli strumenti che sono diventati ormai protesi non ci sono persone disinteressate, bensì mercanzie che mirano a soddisfare i propri interessi di business. E quale modo migliore di lanciare sul commercio prodotti che rendono dipendenti gli acquirenti e che, nel giro di qualche anno, sono nelle tasche di tutti?

 ‘L’invenzione del citofono non ha creato così tanto scalpore, ma l’invenzione di questi dispositivi elettronici più che un’evoluzione è stata una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che, facilitando il nostro modo di vivere, ci ha messo in pericolo’ -  sostiene lo psichiatra che, pur esprimendosi in maniera così decisa, non si schiera contro la tecnologia. Egli si schiera contro l’uomo, incapace di controllarsi, di porsi dei limiti, di determinare il discrimen tra l’innovazione e l’esagerazione. L’autore continua a far leva sui danni cerebrali di cui siamo vittime in mano ai dispositivi tecnologici: come un autista che smette di guidare, nel giro di cinque anni, avendo perso l’abitudine, ne perde anche la capacità, così se tutte le competenze cerebrali dell’uomo vengono delegate ad una macchina, ci si disabitua al ragionamento e ci si culla nell’irresponsabilità.
È un problema, questo, di carattere reale e non morale che concerne l’educazione: dal latino ‘exducere (“tirare fuori”), educare vuol dire scoprire il talento di ogni individuo e aiutarlo a metterlo a disposizione degli altri; ma i tablet e gli smartphone, ricorrenti nelle scuole, servono a questo? Contribuiscono al bagaglio empirico dell’individuo o gli facilitano le cose, omologandolo a tutti gli altri, portandolo sin dalla tenera età a credere che è bello ciò che è comodo, abituandolo al disimpegno e sottraendolo a qualsiasi sforzo?
Una società che pretende il massimo con il minimo sforzo vanifica le lotte fatte nel corso della storia per ottenere la libertà di pensiero, privilegio di cui ci stiamo privando essendo succubi di un’innovazione di cui, invece, dovremmo essere padroni.

© Riproduzione riservata

Sara Fiumefreddo

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