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Molfetta & Dintorni
15 giugno 2006

Debiti e Paesi in via di sviluppo A proposito dei debiti contratti da parte di nazioni africane o sud e centro americane, anche alcune fonti autorevoli esortano a mettere in atto un proposito “generoso” ossia che i governi occidentali cancellino quei debiti. Coloro che sono stati nelle zone più povere di questa o quella regione o dell'Africa o dell'India o dell'America latina hanno capito, dall'osservazione diretta della realtà effettuale, che il “buonismo” avvantaggerebbe i pochi ricchissimi che detengono il potere, i soli che hanno contratto quei debiti. Costoro in cambio di danaro in contanti (che sperperano in pessime amministrazioni) offrono allo sfruttamento degli affaristi occidentali le materie prime situate nei territori dei quali essi soli sono i feudatari. Condonando quei debiti nessun vantaggio raggiunge le miserrime popolazioni (in molte zone il 98% degli indigeni). I governi o le banche occidentali che hanno prestato danaro devono imporre ai governi dei Sud della Terra di intraprendere, con il danaro da restituire, opere pubbliche (strade, ponti, ospedali, scuole …) sotto il controllo di rappresentanti dei creditori. Da parte dell'Italia, decine di anni fa, è stata realizzata questa soluzione in Guatemala (se non sbaglio a ricordare primo ministro era Andreotti). Una volta all'anno partiva dall'Italia una commissione di tecnici i quali andavano sul posto ad ispezionare le opere programmate e in via di realizzazione. La commissione constatava le modalità secondo le quali venivano spese le somme in danaro che lo Stato guatemalteco, invece di restituire all'Italia, impegnava nella costruzione di opere utili alla collettività. In caso di ritardi sospetti partiva la denuncia scritta all'ambasciatore italiano in loco, il quale di dovere la trasmetteva alle autorità governative italiane. Un esempio: sempre in Guatemala, il cui governo aveva accettato questa modalità di “rimettere i debiti” venne a galla che alcune maestranze guatemalteche non usavano il legname migliore per le costruzioni (il koaba o il cedro che per il loro profumo distolgono le tarme dall'attecchire). Altri legnami più scadenti (e meno costosi) invece, facilmente erano aggrediti dalle tarme, pertanto le strutture edificate con essi marcivano nel giro di due anni. Allora la costruzione doveva essere riparata o ristrutturata con il conseguente spreco di danaro pubblico (italiano e guatemalteco).
Autore: Gianna Sallustio
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