Riceviamo e pubblichiamo
Caro Tommaso,
scrivendoti so di infrangere nuovamente le regole della “politica”. La ragione c'è ed è che non voglio parlare solo al sindaco quanto proprio a te. Da coscienza a coscienza. Su un livello dov'è più difficile barare.
Si dice che avevano dinanzi un re buffo e ridicolmente nudo, ma uno solo ebbe il coraggio di dirglielo. Gli altri, per piaggeria verso il sovrano, per timore di ritorsioni, o semplicemente per conformismo, si trattennero dal dire ciò che vedevano, preferendo un più facile elogio a prezzi scontati o il rifugio di un comodo silenzio. Abbiamo un re che se ne va in giro nudo e raggiunge il cielo a sentirsi blandito. Fatti suoi. Lui ci vive felice, noi contenti.
E, invece, no. Succede che c'è sempre qualcuno, al solito, che, invece, di guardare con gli occhi degli altri, anzi con gli occhi del sovrano, ci mette i suoi occhi. E, poi come si sa, aprire gli occhi significa anche accendere il pensiero. Ed è allora che sorgono i fastidi.
Veniamo a noi. Sei sindaco ormai da un anno. Nato da un tradimento, un voltafaccia e infiniti accordi. Tu convinto che saresti bastato a tutto, noi, non in maggioranza, a sostenere che non ne sarebbe venuto nulla di buono, perché, come il fine sta nei mezzi, anche nella politica il destino è scritto dai gesti più che dalle parole. E la stessa città, che ti ha scelto per amministrarla, ci ha chiesto di esercitare con rigore e autonomia il nostro giudizio critico. Di guardarla con gli occhi nostri, non con i tuoi né con quelli della tua corte. In fondo, anche nella storia, se il re poté evitare una figuraccia, non lo dovette alla folla acclamante ma solo ai pochi rompiscatole che preferirono la verità.
Dunque, il tuo primo anno da sindaco. Doveva tradursi in rinascimento, catarsi, palingenesi, liberazione. Francamente non ce n'è traccia, anche a volersi accodare al coro. E forse è meglio così. Meglio accantonare la retorica e distinguere, in modo più asciutto, le cose concrete e il senso che queste suscitano. I fatti che si vedono.
Doveva (perché poteva) essere “case subito” e, invece, è passato un anno e di gru nemmeno l'ombra, anzi stiamo ancora nella fase delle carte. Ma non è questo l'elemento più rilevante. Per vincere, hai dovuto vincolarti a passare la palla del Piano Regolatore nelle mani di intriganti, costruttori e proprietari fondiari. Sapevi che questo significava un pauroso ritorno indietro, esporre la città ai rischi di una nuova insostenibile stagione speculativa. I risultati stanno rapidamente confermando questi timori: l'edilizia pubblica non partirà prima di quella privata; sei stato costretto a reintegrare, in graduatorie già definitive, le scatole vuote dei faccendieri che già sono alacremente al lavoro per trasformarle in lucrose cooperative; non avendo proceduto con gli espropri, hai consentito che il mercato fondiario si impennasse prima ancora di partire. Così, se è vera la notizia, che circola già nella città, di permute di terreni al 40%, significa che le case continueranno a costare non meno di quattro-cinquecento milioni, cioè che l'attuazione del piano regolatore sarà l'ultimo sacco di Molfetta. Dieci-quindici anni di lavoro per le “costruzioni”, poi tutti più poveri (specie i più deboli) tranne pochissimi fortunati. La storia si ripete.
E non basta. A pagare i tuoi debiti elettorali non saranno solo i cittadini ma anche il territorio. Con la proposta di accordo di programma che stai per portare all'approvazione del consiglio comunale non solo trasformi un consistente brano di terreno agricolo in vera edilizia residenziale, ma ripristini, di fatto, il piano regolatore del '92, quello contro cui noi, te incluso, abbiamo lottato. Il Piano delle lobby e degli interessi, non dei cittadini né dell'ambiente. E non è un caso che tutto, proprio tutto, il ceto politico (o i loro rampolli) di quella stagione lo hai schierato nella primissima fila della tua amministrazione. Sei riuscito a rimetterlo insieme, a far ripartire le lancette dal punto in cui l'orologio s'era sfasciato.
Dicono che ti sei arrabbiato per le mie affermazioni sugli insediamenti produttivi nella zona ASI e nella zona artigianale. Eppure, tu che sei sindaco, tra l'altro alfiere nella lotta a improbabili oligarchie, certamente sarai a conoscenza del dato di fatto che conosce anche la città e, cioè, che gli insediamenti nella parte industriale stanno avvenendo in regime di sostanziale monopolio. E che un ristrettissimo gruppo di professionisti condiziona tutto: procedimenti, prestazioni, forniture, e, ovviamente, anche costi, con metodi non sempre limpidissimi. E la storiella del costo delle intermediazioni (per usare un linguaggio più felpato) l'avrai sentita anche tu circolare ormai nei bar. Saranno arrivate anche te le notizie delle strane difficoltà che s'incontrano quando si tenta di ottenere insediamenti produttivi fuori da questi circuiti. Tu hai la responsabilità politica di lasciare che una nuova dinamica parassitaria comprometta l'esito del processo di sviluppo, fondamentale per Molfetta, avviato negli scorsi anni. Gli artigiani e gli imprenditori non sono raggirabili. Alcuni stanno già prendendo altre strade: questo è il fatto grave.
Dicono, pure, che ti sei riscaldato per la questione delle tasse. Eri allora dalla parte della tua storia, quando per ben sei anni abbiamo fatto argine alle spese per rispetto alle condizioni di vita delle famiglie molfettesi. Ed eri consapevole che la scelta del commissario di aumentare insieme imposte e servizi, dall'ICI all'IRPEF, dai rifiuti all'asilo nido, era solo sua. Ma hai vinto assumendo l'impegno di toglierle quelle tasse e si poteva fare. Il fatto è che l'imponente circo Barnum che ruota attorno all'amministrazione è un idrovora che risucchia avidamente risorse: troppi i clienti da soddisfare per tenere unita una maggioranza che altrimenti non avrebbe nulla in comune, né storie, né valori, né tensioni ideali né tantomeno un progetto. E' il prezzo che i cittadini stanno pagando per la tua spregiudicatezza. Ed è molto più alto di quello che gli è stato loro offerto, e che magari in molti hanno pure preso, nella campagna elettorale. Ormai è chiaro che, come in un investimento, in campagna elettorale si anticipa soltanto e che quello che ci si riprende dalla pubblica amministrazione poi dopo, una volta eletti, non viene dal cielo ma dagli stessi cittadini, da noi stessi. Il buono di benzina ricevuto allora, il cittadino lo ripaga dalle sue tasche, eccome, e con i dovuti interessi.
E non si tratta solo di un costo economico. C'è anche un prezzo, per così dire, in termini di costume, di cultura. L'idea che la clientela conti più della cittadinanza, l'amicizia giusta più delle regole, il mio interesse più del problema comune, è un'autentica regressione devastante. Non si discute più, non si protesta più, si sussurra a bassa voce. Nella politica culturale il servilismo ha soverchiato ogni tensione sulla qualità, in quella sociale la logica dell'assistenza sta spegnendo ogni stimolo all'intervento. Conviene tacere, poi, sulle aziende del comune, e in particolare sull'assalto che si sta preparando alla diligenza della Multiservizi, dall'inutile incremento dei posti in consiglio di amministrazione all'incongruente dilatazione degli ambiti operativi, ovviamente senza uno straccio di strategia d'impresa proprio nel momento in cui i privati saranno chiamati a integrarsi nell'azienda.
Insomma, la tua ambizione valeva tutto questo? Quanto sta costando alla città un'amministrazione che non si regge su un programma né su un progetto ma su un catalogo più o meno coerente di “obbligazioni elettorali”?
E' passato un anno e si vede un re nudo. E perfino un po' goffo quando vanitosamente simula una sovranità che non può affatto esercitare. Nemmeno per impedire che una giostra oltraggi il decoro del monumento più bello della città.
Ecco perché, per dirla con la Arendt (un nome che forse non è del tutto scomparso nelle nebbie del tuo passato), “nella loro ostinatezza i fatti sono sempre superiori al potere”. Il potere può comprimerli con l'arroganza o deformarli con la propaganda, ma quelli, i fatti, prima o poi vengono a galla comunque. E scoperchiano il trucco. Si può vincere barando sui valori ma non governare. In fondo è una banalissima verità.
Guglielmo Minervini