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Leningrado nel mio cuore
15 dicembre 2024

Oggi è San Pietroburgo, allora si chiamava Leningrado, ultima tappa del mio viaggio in Russia. In treno, 700 km, noi ci andiamo in aereo. Scendiamo dall’aereo, è prima mattina e io capisco forse cosa vuol dire “un cielo diverso”: il nostro nelle mattinate terse di primavera, è di un azzurro abbagliante, lo si può toccare (ripenso ai “valori tattili” di Berenson), qui sembra sconfinato. Ad aspettarci, un ragazzo giovane dai modi raffinati, – come scopriremo poi, – e un sorriso spontaneo molto contagioso. Si presenta, si chiama Victor e sarà la nostra guida. Ci accompagna all’albergo, un albergo molto elegante dove finalmente possiamo rinfrescarci e riposarci un po’, per ritrovarci poi con gli altri nella hall. Victor ci aspetta e ci propone il programma della giornata, siamo liberi fino all’ora di pranzo, poi comincia la nostra visita alla città. Non ricordo la successione di quello che vediamo anche se ne ricordo perfettamente i luoghi. Siamo sulla Prospettiva Nevskij, la strada amplissima che attraversa la città, lunga quattro chilometri e mezzo, dove si fiancheggiano palazzi eleganti, opera di un architetto italiano, costruita fra il 1711 e il 1721, finisce con il Monastero di Alexandre Nevskij, eroe nazionale russo. Gogol nei Racconti di Pietroburgo scrive: “Non c’è niente di meglio della prospettiva Nevskij”, almeno a Pietroburgo dove essa è tutto. Di che cosa non brilla questa strada, meraviglia della nostra capitale”. Il corso prende il nome dal fiume Neva. Sul ponte Anic Kov che sovrasta il fiume Fontanka vi sono quattro gruppi equestri in bronzo, realizzati per volontà dello zar Nicola I. Le prime due composizioni furono asportate e donate dallo zar al Re di Prussia Federico Guglielmo IV, le altre due, anche queste rimosse per essere regalate a Ferdinando II di Borbone in occasione della visita di Nicola I a Napoli, dove è possibile vederle anche ai nostri giorni col nome “i Palafrenieri”. Ancora oggi San Pietroburgo è considerata il centro culturale di tutta la Russia. È una città portuale che si affaccia sul mar Baltico, capitale imperiale per ben due secoli, è stata fondata nel 1703 da Pietro il Grande. La statua che lo rappresenta, il “Cavaliere di bronzo”, si erge imponente accanto a quella di Caterina II. La statua, alta 6 metri rappresenta Pietro sul dorso di un cavallo nell’atto di impennarsi, poggia su un immenso piedistallo monolitico di granito alto 6 metri detto Pietra Tuono e si dice che pesasse circa 1.500 tonnellate e che sia stata la roccia più pesante mai spostata dall’uomo. Una delle visite indimenticabili è quella all’Ermitage, uno dei musei d’arte più visitati e importanti al mondo. L’edificio faceva parte in origine della Russia imperiale che ospitò per due secoli le famiglie degli Zar Romanov fino alla rivoluzione di febbraio. Oltre alle grandi opere d’arte, una singolare attrazione dell’Ermitage sono i gatti, famosi quanto le opere d’arte che proteggono dai topi da oltre 3 secoli, da quando lo Zar Pietro il Grande giunse dall’Olanda in compagnia di un gatto di nome Basilio, attualmente sono una cinquantina, con Caterina la Grande si giunse persino ad una distinzione tra gatti di casa e gatti di corte, ci sono addirittura i “gattofili” che visitano la collezione russa per vederli in cortile. Hanno uno staff dedicato a loro e si nutrono grazie a donazioni volontarie che non mancano mai anche dall’estero, sia tramite internet che direttamente. Gatti a parte, l’Ermitage custodisce capolavori dell’arte internazionale, italiana, francese, spagnola, fiamminga, da Caravaggio a Raffaello, a Tiziano, Tiepolo, Tintoretto, Rembrandt, Rubens, Van Dyck, Velasquez. Tutto questo ci viene spiega-sale dell’Ermitage dove vi è anche una grande “Sala delle armature” e Victor ci dice che l’ha curata sua madre, che, se non ricordo male, era anche medico. Sfiniti ma “sazi” torniamo in albergo, il nostro gruppetto ha legato molto con Victor e quando tutti alla fine delle varie visite scendono dal pullman, noi, con fare indifferente, ci fermiamo nel pullman e Victor ci fa vedere luoghi non accessibili ai turisti, per esempio il bar delle rane. È come se ci conoscessimo da sempre. Nel pullman cantiamo, che italiani saremmo se no? Alterniamo “Bella ciao” che Victor ama molto con “Podmoskovnie Vecherà” (“Mezzanotte a Mosca” nella versione Italiana, che amiamo molto noi). A proposito di canti: il tour è finito, è pomeriggio e fingiamo di scendere anche noi dal pullman, Victor ci aspetterà in una strada laterale, ci ha promesso una sorpresa: ci porta su una nave o meglio su un battello che naviga il fiume Neva portando turisti. Saliamo con il batticuore, non ce l’aspettavamo, prendiamo posto sul ponte dove ci sono altri passeggeri. Non so a chi di noi viene in mente, mentre il sole comincia a tramontare, di mettersi a cantare. Attacchiamo con canzoni napoletane che conosciamo tutti e con gli ultimi successi dei cantanti in voga, quando non conosciamo i testi li inventiamo. Poi uno di noi a voce bassa comincia a cantare “Tapum Tapum” il più struggente canto degli Alpini, sul ponte un silenzio assoluto, poi un grande applauso. Il sole è calato completamente e noi siamo al Mar Baltico, si stende davanti ai nostri occhi ed è un’emozione grandissima. Victor si eclissa, è bravissimo a scomparire, sia pure per poco. Torna con una faccia dall’espressione impenetrabile: “il Comandante vi vuole nella sua cabina”. Oh cielo, che abbiamo fatto? Lo seguiamo col batticuore, “hai visto? – dico a Ninotcha – i tuoi tacchetti hanno rovinato il parquet della nave”. Lei risponde risentita, “scema”, ma siamo arrivati nella cabina del Comandante. Ci riceve con un sorriso (grande sollievo!) dice qualcosa a Victor che traduce: “Vuole che cantiate al microfono, sul ponte alcuni vi hanno sentito cantare e ora vogliono ascoltarvi tutti”. “Sì, – dico a Victor – ma poi i russi ci cantano “Podmoskovnie vechera”, quella che è stata tradotta in italiano con “Mezzanotte a Mosca”. “Dai ragazzi – dico io – la faccia tosta non ci manca e poi... siamo italiani”. Poi cantano loro, e ascoltarla sul fiume, è di una suggestione unica. Al nostro rientro salutiamo Victor, abbiamo deciso di salutarci ora e non far capire alla guida il nostro bellissimo rapporto, al treno, la mattina dopo ci salutiamo in modo molto formale, ma abbiamo gli occhi pieni di lacrime. La guida sul treno riesce a parlare con uno per uno di noi e ci chiede il suo indirizzo, rispondiamo che non ce l’abbiamo, non se la beve, ma non può farci niente. In effetti Victor ci ha dato un indirizzo complicato di qualcuno che abita dalle sue parti ma credo che le nostre lettere non gli siano mai arrivate. La mattina seguente siamo all’aeroporto, abbiamo tutti un’aria depressa: ci pesa ripartire, ma è ora di risalire sull’aereo che ci riporterà a casa, una parte del nostro cuore resta a San Pietroburgo. © Riproduzione riservata

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