La straordinaria mostra di Leonardo Minervini e Franco d’Ingeo
Successo e gradimento sta riscuotendo l’allestimento, realizzato presso la Sala dei Templari, della mostra Franco d’Ingeo e Leonardo Minervini, accessibile dal 26 settembre al 10 gennaio 2021, con opere tratte dalla Raccolta d’Arte contemporanea della Città di Molfetta. L’evento è stato fortemente voluto dal Sindaco, Tommaso Minervini, e dall’Assessore alla Cultura, Sara Allegretta, ed è stato suggellato da un’iniziativa, le “Conversazioni ad Arte”, che, oltre ai due già citati rappresentanti delle istituzioni locali, ha veduto la partecipazione anche dello storico dell’arte Gaetano Mongelli, intervenuto con la consueta lucidità e acribia sull’opera di Leonardo Minervini, e dello scrivente, in relazione ai dipinti di Franco d’Ingeo. Per la mostra sono stati digitalizzati i cataloghi già esistenti e resi disponibili ai visitatori, mediante QR Code. Un ruolo importante ha rivestito nella formazione di Minervini l’insegnamento, presso la napoletana Accademia di Belle Arti, di Carlo Siviero, per il quale – come ben ricostruito da Mongelli nel suo contributo per il catalogo della Donazione Marta Maria Minervini Picca – il molfettese non rappresentò un allievo come tanti. Ne è prova il significativo carteggio intercorso tra i due sino al 1951, quando il maestro si trasferì in Brasile per poi spegnersi nel 1953. Le opere esposte rivelano la perizia tecnica e l’intensità espressiva di un artista che non a caso Guglielmo Minervini ha definito “un interprete del suo tempo ed un testimone credibile ed amato per un’intera generazione di artisti e di uomini di cultura”. Una padronanza del medium pittorico ch’è fedeltà alla natura, ma non feticismo del dato retinico. Un Interno di biblioteca che alla maestria della composizione abbina, come evidenziato sempre da Mongelli, la bellezza di grigi supportati dalle “accensioni dei bianchi di Gioacchino Toma”. Pittore di atmosfere, dunque, il Minervini, nella specola del suo studio come in paesaggi che – cito ancora Mongelli – paiono configurarsi quale “entrare ed uscire dal giardino dell’Eden”. Possente lo Studio di drappeggio, che potrebbe celare una semplice poltrona da salotto o forse, cromatismi a parte, la Beatrice del Paradiso Terrestre, la Fede di Spinazzi o una vestale di Wildt o la Maddalena del Savoldo, in un perfetto connubio di “pittura e plasticismo”. “Si ha l’impressione – scriveva a tal proposito Mongelli – che “l’autore stia evocando, con una pratica tutta rinascimentale, (…) una rilettura del luminismo lombardo”. Attitudine pittorico-plastica che ci sembra di rilevare, con le dovute differenze, anche nel bellissimo carboncino su carta del Modello (1935), di cui distingui lo sternocleidomastoideo e i muscoli del torace e ti sembra di vederlo respirare, nella sfrontata beltà di una mascolinità all’apogeo. Ne cogli l’altrettanto espressivo contraltare nel maladjustement e nell’abbiosciamento del senex (modello anch’egli) del 1936. E che dire della sacra famiglia proletaria della Maternità del 1936, con un Giuseppe non scalzo ma pensoso e una Maria così compenetrata nel bimbo quasi benedicente, al punto che gli incarnati si corrispondono cromaticamente? Franco d’Ingeo è altra figura straordinaria, un artista di cui, scriveva Michele Campione, “ogni personale (…) è una specie di provocazione culturale” e che – secondo Vittore Fiore – in contiguità con quanto espresso da Bodini in poesia ha rinvenuto nel paesaggio della nostra terra “la geometria dei cubi entro cui il bianco campeggia”. L’esperienza dell’incontro con Braque a Parigi gli aveva suggerito alcuni moduli a tratti ricorrenti – si pensi alle braquiane celebri Case all’Estaque – e quello con Gentilini a Roma gli aveva dischiuso le potenzialità espressive dell’innesto nelle sue opere di frammenti di ghiaia e sabbia mescolati ai colori a olio. La sua poetica si connota per il ricorrere di alcuni temi, che si riaffacciano come Leitmotive anche in periodi diversi della sua produzione. La poesia delle pietre, per esempio, che siano i titanici massi affastellati sulla spiaggia, le Pietre in segheria del 1959 – per le quali ci sembra di condividere il riferimento effettuato da Sabino D’Acunto a “segni di civiltà megalitiche” – o i muretti a secco. Se la vita per Eugenio Montale era un po’ come costeggiare un muro su cui qualcuno abbia cosparso cocci di bottiglia, trascrizione concreta della percezione di una prigionia nei limiti dell’esistente, anche i muri di d’Ingeo richiamo la fatica del vivere e non sono lontani dalla possibilità dell’epifania di una gioia aspra, ma non disgiunta dalla bellezza. Si pensi allo struggente cardo che appare tra le crepe di un muro in cui, pur condividendone i grigi, lascia che si insinui una promessa di fioritura. Effimera, perché il cardo, a nostro avviso, più di ogni altro fiore, sembra recare in sé il germe della consunzione. E poi ci sono i simboli in misto sabbia su masonite, quali lo stravinskiano Uccello di fuoco, trascrittura delle forze del bene, che ha un je ne sais quoi in comune con il Mariner IV, ipostasi della tensione al viaggio di conoscenza, all’esplorazione di mondi sconosciuti. Quella stessa ansia che traspare, con un che di maestosamente epico, nell’Ossatura della barca in costruzione del 1970, forse in un cantiere molfettese o magari pronta a trasformarsi in ninfa per opera di Cibele, come nell’Eneide. Se la produzione di d’Ingeo degli anni Settanta presenta ancora tracce dell’analogia (quella famiglia- pietra de La famiglia del 1974 e quella tra creature umane e tronchi d’ulivo di un acrilico su tela dello stesso anno) e della ricerca archetipica nei totem, negli anni Ottanta, complice l’uso del collage, prevale il frammento allegorico, vessillifero di una comunicazione con l’invisibile, ma non adeguatamente ricomponibile in unità. Una mostra che senz’altro rappresenta per la popolazione molfettese un’occasione imperdibile per accostarsi a due maestri della sua pittura, che, nell’onestà di una ricerca inesausta e sempre protesa verso nuovi obiettivi, hanno scritto pagine importanti della nostra storia collettiva. © Riproduzione riservata