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La piscina lentamente muore mentre dilaga l’edilizia selvaggia
15 novembre 2020

Lentamente muore un pezzo di città, sotto lo sguardo arrabbiato e sgomento degli abitanti del quadrante costiero di Levante. Mi riferisco alla zona ex Park Club, su cui tanta propaganda è stata fatta prima e durante la campagna elettorale delle elezioni regionali. Raccontando alla città una favola, che poi in realtà era nient’altro che una favolosa bugia. “Restituiamo a Molfetta la sua spiaggia urbana”, si è detto mentre ai piedi dello Stadio Paolo Poli si è aperto dopo oltre due decenni il cancello dell’ex stabilimento balneare amatissimo dai molfettesi. Un sollievo, è vero. Ma a pochi metri la triste sconfitta della città pubblica, con i due simboli di questa sconfitta uno accanto all’altro: la piscina comunale abbandonata e i grattacieli della speculazione edilizia del B2.1 con le loro fondamenta giganti a restringere la strada. Sotto gli occhi dei runner e degli abitanti della vicina via Don Grittani. Una storia triste, che vale la pena provare a raccontare. LA PUNTA PEROTTI MOLFETTESE: IL NO ALLA SPECULAZIONE DELLA STAGIONE 2013-2016 Partiamo dalla storia del comparto urbanistico più discusso del nostro Piano Regolatore, il B2.1. Una storia che, a dire il vero, ha attraversato come un thriller anche la stagione 2013-2016. Perché il “comparto del Park Club”, ovvero l’area attorno all’ex lido, è stato oggetto di uno dei più complicati conflitti che hanno attraversato la maggioranza di cui sono stata sindaco negli anni scorsi. Anche se la sua storia risale al 2001, cioè è legata all’approvazione del Piano Regolatore Vigente. Nato come piano di lottizzazione di iniziativa privata, fu la giunta Azzollini con il dirigente Altomare a volerne fare un piano particolareggiato di iniziativa pubblica. E anche se oggi sembra che nessuno voglia quei palazzi edificati praticamente nel mare - se non il sindaco Minervini e l’assessore Mastropasqua, che hanno il coraggio di rivendicarli – c’è stato un tempo in cui l’allora “centrosinistra doc” (da non confondersi con il centrosinistra Frankestein di quest’ultimo triennio) su questo comparto si divideva e non trovava pace. L’allora presidente della Commissione Urbanistica (ovvero la dottoressa Annalisa Altomare) pose più e più volte il problema all’amministrazione, sostenendo le ragioni dei proprietari e dei compartisti ed evidenziando il tema dei diritti edificatori consolidati. Altri rappresentanti della maggioranza, tra cui l’attuale presidente del Consiglio Nicola Piergiovanni, ma anche molti esponenti del Pd, tra cui l’allora segretario Piero De Nicolo in primis, evidenziarono fin dai tempi dell’adeguamento del PRG al PUTT (atto dovuto, che pure mai riuscimmo a portare in consiglio comunale, proprio a causa di queste turbolenze) che mettere il limite di non edificazione oltre i 50 metri dalla costa nel caso del B2.1 avrebbe significato impattare sui diritti di proprietari e costruttori. Insomma, anche al tempo in molti sostennero che il B2.1 andava fatto per forza. Molti, tranne chi si oppose con forza all’operazione: il sindaco, l’assessore avv. Rosalba Gadaleta e l’intera giunta comunale. Prendemmo tempo, tentammo di agire un dialogo con i costruttori, i proprietari e i tecnici che potesse portare a una soluzione di compromesso più ragionevole, ponendo con forza il tema delle altezze e della distanza dalla costa, dell’impatto paesaggistico tremendo che la costruzione di palazzine a quella distanza dal mare avrebbe comportato. Agimmo un contenzioso, ritenendo indispensabile avere un’autorizzazione paesaggistica prima di procedere. E nei tre anni 2013-2016 mandammo avanti altri comparti. Praticamente tutte le gru che si vedono adesso in città: Maglia Mercato, comparto 17, comparto 18 e comparto 19. Non che questo ci renda orgogliosi, ma si è dovuta gestire l’eredità pesante - in termini di cubature - del PRG vigente e siamo riusciti soprattutto su comparti 17 e 18 a migliorare tanto di quello che avevamo ereditato, ottenendo anche delle riduzioni di volumetrie nel 18. Ma alla speculazione nella zona dell’ex Park Club e al MaxiComparto (edificazione a bordo di Lama Martina) ci opponemmo con fermezza. Fino alle dimissioni, nella cui “contabilità” il nostro no alla cementificazione della costa di Levante ebbe un peso molto grande. LE PROMESSE ELETTORALI E I PERMESSI A COSTRUIRE: ARRIVANO I PALAZZONI SUL MARE Appena insediata la giunta Minervini, la storia del comparto B2.1 è andata avanti velocissima. Nel 2017 il Comune perse in primo grado il contenzioso sul Parere Paesaggistico, ma con una sentenza che lasciava ampio spazio ad un ricorso. In sintesi, il TAR diede ragione ai compartisti solo in ragione del fatto che non c’erano le prove che le volumetrie del B2 e del B2.1 non fossero già state delocalizzate in altre zone. Prima della discussione la nostra amministrazione era caduta e il Commissario non aveva fornito all’avvocato del Comune la documentazione sulla delocalizzazione delle edificazioni in 167. Il sindaco, però, scelse ben altra strada: quella dell’accordo e del via libera. E i permessi a costruire arrivarono in batteria. A partire da quello che riguarda la palazzina di fronte alla piscina comunale, che ne azzera il parcheggio. Proprio nell’ex parcheggio piscina il costruttore assegnatario, legittimamente sul piano dei titoli, ha iniziato prestissimo, mesi fa, a scavare le fondamenta dell’edificato. E solo in quel momento la città ha compreso le ragioni della nostra opposizione strenua all’edificazione di quel comparto. Come si può costruire una palazzina pluripiano alle spalle di una stazione di benzina, intanto? E come si può privare la piscina comunale del suo parcheggio, restringendo di fatto le aree a standard della zona? “Tutto regolare”, ha continuato a ripetere il Comune, sfoggiando la progettazione del comparto, a cura dell’ing. Rocco Altomare. E così, la palazzina nell’ex parcheggio piscina va avanti, mentre si avviano i lavori anche nell’altro contestatissimo edificato: la palazzina accanto all’ex Inps.
Davvero un palazzo sulla spiaggia di ciottoli sottostante. Un piano monster, che sta sollevando la protesta di tutto il quartiere. Eppure, ribadiscono dalla maggioranza, era tutto scritto nelle linee programmatiche della coalizione al governo. IL CANTIERE IMMOBILE DELLA PISCINA COMUNALE Mentre gli interessi privati avanzano a grandi falcate e le palazzine di cemento salgono verso il cielo, la strada si fa stretta e l’area della piscina comunale è un cantiere che sembra ormai abbandonato al suo destino. Il giorno di San Nicola del 2015 è stato un giorno decisivo nella storia della piscina comunale. L’ultimo giorno della sua storia, per certi versi. Il 7 dicembre di quell’anno, infatti, fu notificata la Determina numero 1447, il cui titolo dice tutto: “Risoluzione per grave inadempimento del contratto per l’affidamento in concessione della gestione della piscina comunale”. A firmarla è stata una dirigente valida, oggi in forza al Comune di Bari: l’avv. Roberta Lorusso. Lorusso arrivò al Comune attraverso una procedura di mobilità che volemmo fortemente, prima che scattasse l’orrendo blocco della assunzioni voluto (con gravissime conseguenze per gli Enti Locali) dal Governo Renzi. Guidò il settore Welfare e accompagnò con grande spirito di servizio e competenza la riforma del settore fortemente voluta da me e dal vicesindaco Bepi Maralfa. Cantieri di servizio, Centro Antiviolenza, Sprar: dietro queste politiche pubbliche c’è stato lo sforzo amministrativo di un settore che, dopo anni, si è rimesso faticosamente in piedi. Al settore Welfare, con la riforma della macrostruttura che approvammo in giunta nella prima parte del mandato, fu affidato anche lo Sport (guidato da un altro generoso funzionario: Gianni D’Elia) e dunque il nodo complesso degli impianti sportivi. L’amministrazione Azzollini aveva lasciato il caos un po’ dappertutto. Molti nodi, nel settore impianti sportivi e gestione degli stessi, sono ancora tutti da sciogliere. Palazzetti con i tetti d’amianto, di cui solo noi abbiamo progettato la bonifica (ancora da eseguirsi, per negligenza dell’Amministrazione al governo, al Palafiorentini); un Palapoli gestito da un Consorzio pieno di opacità, con un’assegnazione dei locali adiacenti al palazzetto avvenuta senza bandi di evidenza pubblica e a condizioni discutibili; gli stadi Paolo Poli e Petrone che cadevano a pezzi (e che tra il 2013 e il 2016 abbiamo rimesso a nuovo, insieme ai campetti di via Gramsci, restituendo ossigeno al movimento calcistico cittadino). La piscina, però, era la ferita più grande. Una ferita invisibile ai cittadini, che hanno continuato a frequentarla negli anni dopo la sua inaugurazione, anche se a metà 2015 anche all’occhio nudo di chi la frequentava le conseguenze della malagestione dell’impianto iniziarono a vedersi. STORIA DI UNA CHIUSURA DOLOROSA MA INEVITABILE Chi ha tempo e modo, può davvero ricostruire la vicenda scaricando dall’Albo Pretorio sul sito del Comune la delibera 1447 a firma Lorusso. Si trova, infatti, nella narrativa dell’atto, una ricostruzione del rapporto tra Comune e raggruppamento di ditte affidatario della concessione, che spiega le ragioni della risoluzione del contratto. Le ditte a cui nella amministrazione Azzollini fu affidata per 6 anni la gestione dell’impianto erano tre: la Molfetta Nuoto (impresa capogruppo), la Clima Service e la Coopdiving. L’appalto prevedeva il versamento di un canone annuo di 60mila euro, in 4 rate trimestrali. Alla sottoscrizione del contratto Comune-Ati, le ditte presentarono anche delle polizze fideiussorie del valore di 150 mila euro. A carico dell’Ati restavano anche le spese di telefono, acqua, gas ed energia elettrica. Le ditte, tuttavia, non versavano il canone. Né pagavano le bollette, tutte anticipate dal Comune di Molfetta. E si è scoperto anche, dopo una lunga inchiesta, coordinata in particolare dall’assessore Giulio Germinario, che ancora oggi ringrazio per la generosità del suo impegno e il rigore della sua azione amministrativa, che le polizze fideiussorie presentate erano scadute nel 2013 e mai rinnovate. Le ditte dovevano anche occuparsi della manutenzione ordinaria dell’impianto, che però lasciava molto a desiderare, tanto che si crearono problemi negli spogliatoi e sui lucernai, con lavori che furono messi a carico del Comune (e, sui lucernai, svolti d’urgenza nell’estate 2015). In ogni caso, nonostante decine di solleciti (di cui nella determina c’è ogni traccia), la ditta restò inadempiente e in ottobre 2015 il Comune formalizzò una contestazione di addebito definitiva. Che restò inevasa, anzi che fu contestata per le vie legali dai gestori della piscina. Da qui la risoluzione contrattuale. Che diede 20 giorni ai gestori. Intanto esplose un altro problema, non meno importante: i gestori smisero di pagare i lavoratori. Nonostante gli utili negli anni non fossero certo mancati, tra corsi di nuoto e acquagym e anche vista l’apertura estiva dell’impianto, che nei mesi di giugno, luglio e agosto lavorava come lido balneare. Parliamo di una decina di lavoratori dipendenti e di altrettanti istruttori sportivi, che peraltro avevano portato i giovani atleti a livelli agonistici molto rilevanti e che gestivano anche una preziosa attività paralimpica con giovani atleti con disabilità, fondamentale per tante famiglie e tanti giovani cittadini con handicap. Tuttavia, il problema di legalità dell’appalto era enorme: canoni non pagati, bollette non pagate, polizze fideiussorie inesistenti e lavoratori non retribuiti. La goccia che fece traboccare il vaso fu un incidente, di cui come sindaco fui informata una mattina di inizio 2016. Cadde un pezzo di tettoia, a piscina aperta. L’assenza di manutenzioni e di una giusta cura ordinaria dell’impianto si faceva sentire. Chiusi la piscina con ordinanza comunale. E lo rifarei. Perché la salute pubblica è una priorità non barattabile. E perché quell’appalto era uscito da tempo dai binari della legalità. La scelta fu estremamente scomoda e impopolare. Ma erano i primi mesi del 2016, esattamente quattro anni fa. Nessuno, nemmeno la sottoscritta, avrebbe mai pensato che in quattro anni la piscina non avrebbe mai più riaperto. QUATTRO ANNI SPRECATI, TRA PROMESSE E GESTIONE FALLIMENTARE Pochi giorni prima dell’elezione di Tommaso Minervini sindaco, esattamente il 29 maggio del 2017, il dirigente del settore Lavori Pubblici, l’architetto Lazzaro Pappagallo, pubblica una determina che sembra finalmente smuovere le acque della piscina comunale, rimaste immobili nell’intero anno di gestione commissariale. La determina 400, infatti, stabilisce i paletti della concessione a 10 anni della piscina comunale. È quella della concessione e non più dell’affidamento in appalto la strada che si sceglie per assicurare sorti migliori all’impianto natatorio molfettese. Che però, nel frattempo, ha subito incursioni vandaliche e ulteriori ammaloramenti. Non è chiaro, infatti, perché il Commissario prima e il Sindaco poi non abbiano pensato a una soluzione-ponte che consentisse di tenere aperto l’impianto natatorio, magari con il supporto di Coni e Fin, e assicurare da un lato alla città la prosecuzione di un servizio importante, dall’altro ai lavoratori la ripresa del proprio posto di lavoro. Il tutto evitando anche che lo stop all’impianto portasse con sé la sua inevitabile deriva strutturale. Nell’agosto dello stesso anno, sono approvati gli atti di gara, insieme a una relazione tecnica che descrive lo stato dei luoghi. Nella gara, si affida ai candidati alla concessione la presentazione di un progetto di manutenzione straordinaria dell’impianto e delle aree circostanti. Altra scelta abbastanza opinabile: perché non usare i famosi “fondi porto”, utilizzabili legittimamente anche per le opere sportive, per rimettere in sesto la piscina prima di affidarla in concessione, già ristrutturata, come tutte le piscine comunali dei Comuni viciniori e delle aree circostanti? Perché investire il futuro concessionario di questo onere chiaramente non semplice, visto lo stato dei luoghi, compromesso dai mesi di chiusura, ma anche già da tanti anni di mancata manutenzione ordinaria a regola d’arte e da problemi irrisolti con le ditte precedenti che hanno portato a un cedimento del tetto e alla chiusura? L’assenza di una gestione-ponte e la scelta di non fare i lavori in via diretta ma di affidarli al concessionario sono due delle ragioni principali che portano la vicenda-piscina nel tunnel in cui ancora si trova. Alcuni mesi fa, per la verità, la ditta concessionaria viene individuata, ed è una tra le più note e affidabili d’Italia, stando alla sua reputazione nel settore: la Sport Management, già concessionaria di molti impianti natatori in tutto il territorio nazionale. Accade, tuttavia, che il contratto stipulato tra Comune e ditta n. 8367 dell’8 aprile 2019 non sembra procedere bene. Anzi. I lavori partono con ritardo. Anche se in molti si chiedono: sono davvero mai partiti? Senz’altro, la vicenda si infrange sui mesi-Covid (tragici per il settore piscine), poi si inceppa misteriosamente. Il perché non è chiaro. E nemmeno durante le commissioni Lavori Pubblici in corso (presidiate dalla consigliera Silvia Rana) si riesce a comprendere fino in fondo cosa sta davvero accadendo. Quel che emerge, di certo, è che il Comune sta (finalmente) facendo la voce grossa e, dopo l’estate, ha avviato il procedimento di rescissione del contratto con la Sport Management per inadempimento. La società, peraltro, a causa della crisi Covid è entrata in concordato preventivo e, come scrive al Comune, “sta rafforzando la propria compagine sociale”. Cosa possa accadere da ora in poi non è facilmente prevedibile. Quel che è certo è che, avendo affidato alla società contrattualizzata le opere di ristrutturazione, adeguamento normativo e migliorie funzionali e non avendo svolto però nessuno di questi lavori, ad oggi, la situazione dell’impianto è sempre più gravemente compromessa, come si può vedere ad occhio nudo passandoci davanti o dall’alto di uno dei balconi degli appartamenti circostanti. E, dunque, mentre gli interessi privati dei costruttori crescono e fioriscono tutt’attorno, la città pubblica esce sconfitta. Cittadini e lavoratori pagano il prezzo, altissimo, di una malagestione senza precedenti. E la piscina comunale lentamente muore. © Riproduzione riservata

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