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La deforma costituzionale, le ragioni del NO ad una legge che è un guscio vuoto
15 ottobre 2016

La Corte di Cassazione ha dato il via al referendum costituzionale volto a modificare alcuni articoli della nostra Carta. Inizia così ufficialmente la campagna elettorale in vista di questo fondamentale appuntamento con le urne che vedrà i cittadini italiani chiamati a confermare o bocciare la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi e dalla sua maggioranza parlamentare. Dello stop al bicameralismo perfetto, di un Senato con meno poteri legislativi e formato da 95 rappresentanti eletti dai Consigli regionali ma con legittimazione popolare, dell’abolizione delle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, delle pratiche “strategiche” riportate in capo allo Stato e di molto altro ancora si è discusso durante l’incontro organizzato presso la Sala Turtur di Molfetta da Sinistra Italiana in collaborazione con l’Associazione PugliaEuropaMed. È stato un momento costruttivo orientato a creare un’ampia mobilitazione utile a spiegare ai cittadini i punti più critici e insostenibili di questa trasformazione. Ad introdurre la serata e a moderare l’incontro, l’avv. Brigida Mulinelli – componente del coordinamento di Sinistra Italiana Molfetta – che ha spiegato ai presenti quanto questo mutamento rappresenti in realtà un vero e proprio stravolgimento della Carta costituzionale e dei valori che in essa sono racchiusi. La parola è passata poi al prof. Nicola Colajanni – costituzionalista e docente ordinario presso l’Università degli Studi di Bari – che è partito da alcune considerazioni sull’art. 57, definendolo come una norma dal guscio vuoto. Di fatti le criticità partono già da primo comma nel quale si afferma che i Senatori non rappresentano più la Nazione ma le istituzioni territoriali e i restanti 5 in realtà non si comprende bene a cosa facciano capo. E qui già si pone un problema non trascurabile. La Sovranità appartiene al Popolo che la esercita col voto. Ma se i Senatori non rappresentano più il Popolo, come possono costituire una Assemblea legislativa? E poi, quanti rappresentanti del Senato spettano a ciascuna Regione? E ancora. Ciascuna Regione e ciascuna delle due Province autonome nomina due consiglieri regionali e un sindaco o un consigliere e un sindaco? Inoltre non è per niente chiaro se i due che spettano a tutti di base debbano essere o meno computati nella proporzionalità complessiva. Se per proporzione a una regione ne spettano due, avrà solo i due di «base» o ne otterrà quattro in tutto? Anche da questo punto di vista non c’è grande chiarezza. Un altro paradosso è rappresentato dal fatto che ogni Regione avrà la propria legge elettorale.Tutte diverse ma tutte con un maggioritario spinto. Allora, come avverrebbe l’elezione “con metodo proporzionale” disposta al comma 4? Non solo, ma si tratta di una elezione effettuata dal Consiglio regionale o di una designazione «in conformità alle scelte espresse dagli elettori»? E come esprimerebbero la loro scelta i votanti? I Consiglieri più suffragati? Ma sono stati votati per fare i Consiglieri regionali. Una doppia preferenza? E allora se i nuovi Senatori sono scelti dall’elettorato perché il Consiglio regionale dovrebbe eleggerli «con metodo proporzionale»? Una incongruenza questa che mina – a discapito di quanto millantato da qualcuno – non solo la seconda parte della Costituzione ma anche il concetto e il valore della sovranità popolare. Ci sarà o si potrà prefigurare una situazione per cui ci sarà un Senato non votato direttamente dal popolo e quindi verrà mano anche il principio paritario che lo lega al Parlamento. Da non trascurare anche la sostanza della riforma che punterebbe – almeno questo sarebbe l’obiettivo – ad uno snellimento del processo legislativo. Così facendo, pur eliminando il ping-pong tra Camera e Senato, rimarrebbe la famosa navetta perché in ogni caso il parere del secondo organo di Governo rimarrebbe indispensabile. Così facendo si andrebbe a mutare la forma di Governo , orientandola verso un sistema centralistico in cui il potere si sposta dalle Regioni allo Stato (anche se quelle a statuto speciale ne risulterebbero tutelate). Tutto questo maxi sistema è stato messo in piedi anche per risparmiare denaro pubblico. Ma tirando le somme si tratterebbe di una cifra irrisoria se paragonata ai risultati che si sarebbero potuti ottenere se si fossero messe in atto altre strategie di riforma. Si giunge così non più ad una semplificazione del sistema legislativo ma della stessa democrazia attraverso la riduzione degli spazi di partecipazione popolare come nel caso del voto. Come ha spiegato magistralmente l’on. Enzo Lavarra, la riforma sembra quasi un modo (discutibile o meno che sia) di superare una profonda crisi politica che da troppo, tanto tempo attanaglia il Paese. Ma se si fa una attenta analisi del profilo politico di tale mutamento in divenire, si immagina una contrapposizione tra democrazia partecipata e democrazia ascendente, che tende all’accentramento dei poteri nelle mani di pochi. Questo sì che costituirebbe un motivo di crisi generale, concepita sostanzialmente dalla revoca del principio ispiratore della Costituzione che è l’ancoraggio fondamentale per la vera e duratura stabilità di una nazione. Quell’equilibrio tra valori e potere, essenziale per mantenere in piedi la democrazia, verrebbe meno. Ma l’effetto più deleterio in assoluto sarebbe quello di rendere la nostra Carta alla mercé di chiunque si appresti a rappresentare la maggioranza del Paese. Secondo Lavarra infatti non è possibile raggiungere la stabilità attraverso la verticalizzazione del potere, già messa a dura prova dall’effetto della globalizzazione che ha portato gli organismi sovranazionali ad intaccare la sovranità nazionale. Però di contro – per bilanciare il potere sovranazionale – bisognerebbe rendere la politica nazionale più reattiva e veloce, condizione prefigurabile solo attraverso uno snellimento dei corpi intermedi e la concentrazione decisionale nelle mani di pochi. Insomma come dire il cane che si morde la coda. Un disegno – come è stato definito durante l’assemblea – di distorsione plebiscitaria che non farà altro, se andrà in porto, che creare confusione, poco snellimento al contrario di quanto previsto, l’esautoramento delle regioni e una spicciola demagogia sul versante del risparmio economico. Alla fine dell’incontro, è stato lasciato ai presenti ampio spazio di discussione nell’ottica – al contrario delle possibilità che si potrebbero espletare se la riforma passasse – di una salvaguardia e tutela della prospettiva democratica.

Autore: Angelica Vecchio
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