L’amore criminale raccontato da Matilde D’Errico
Tutto è partito dalla lettura di un articolo intitolato In Italia la famiglia uccide più della mafia. Con queste parole Matilde D’Errico, rispondendo alle numerose sollecitazioni degli studenti degli istituti “Fornari” e “Mons. Bello”, ha spiegato come sono nati il libro “L’amore criminale” – edito nel 2014 per i tipi Einaudi – e l’omonima trasmissione, curata con Maurizio Iannelli su RaiTre. I due istituti scolastici, che promuovono progetti di approfondimento su tematiche di strettissima attualità e di grande rilevanza sociale, hanno voluto focalizzare così l’attenzione sul tema della violenza di genere. INCONTRO AL LICEO FORNARI: IN ITALIA LA FAMIGLIA UCCIDE PIÙ DELLA MAFIA «Quel titolo ci aveva molto colpito. Ci siamo documentati. Abbiamo verificato i dati del Ministero degli Interni – ha proseguito Matilde D’Errico durante l’incontro al Liceo Fornari – E abbiamo scoperto che, purtroppo era tristemente vero. Cioè le persone che in Italia venivano ammazzate all’interno di dinamiche famigliari, affettive, relazionarie erano superiori alle persone ammazzate per criminalità. Nel 2006 si parlava di una donna uccisa ogni tre giorni. Oggi, si conta una donna ammazzata ogni due giorni e con modalità sempre più cruente». Il grande interesse suscitato negli studenti dalla lettura del libro è stato testimoniato dalle tantissime domande poste alla scrittrice e regista. «Filo conduttore è stato quello di raccontare le storie che mi avevano colpito di più… è stato un viaggio interiore importante anche per me. Le dieci storie del libro sono quelle che mi hanno colpito di più». Ovviamente i linguaggi sono molto diversi tra libro e trasmissione televisiva: «il libro è più personale rispetto alla sceneggiatura. Sono però accomunati dall’intento pedagogico». La trasmissione è nata, dunque, dalla volontà di «provare a capire perché in alcune storie l’amore si trasforma nel suo contrario che è la morte» ed è stata articolata secondo due direttrici. «La prima: che fosse qualcosa di utile, che fosse una trasmissione di servizio nella quale le donne si potessero riconoscere e chiedere aiuto; la seconda volevamo provare a fare una sorta di indagine psicologica, cioè capire perché una donna, quando si lega a un uomo e scopre che quest’uomo è violento non ce la fa ad allontanarsi da lui». Sulle cause che portano alla violenza di genere, Matilde D’Errico ha individuato la mancanza di cultura, da non confondersi col grado di istruzione. Gli uomini violenti sono uomini “normali”, i compagni di scuola, i colleghi di lavoro ecc, spesso con titoli di studio importanti, quindi il problema si fonda, soprattutto, nella mentalità: «nasce dall’incapacità di riconoscere l’altro come altro da sé. Dobbiamo cambiare le nostre teste. Innanzitutto come donne, come madri». Mentre nella scuola si fa già molto. Ci sono molti problemi, invece, nelle famiglie: «Ci sono genitori e, soprattutto, madri che dal punto di vista educativo sono dei disastri, troppe madri incapaci di educare i figli maschi». Un fondamentale aiuto viene sicuramente dai centri antiviolenza ma sono pochi e, spesso, non hanno sufficienti risorse da parte del Governo mentre il loro mantenimento richiede molti soldi. Per quanto riguarda l’intervento delle Forze dell’Ordine, queste possono agire e procedere all’arresto in flagranza di reato. Se non c’è flagranza di reato, si interviene dopo una denuncia ed è necessario un provvedimento del magistrato. L’esperienza lavorativa ha sicuramente influito sulla sfera personale: «Io sono sempre stata una combattente. Ho sempre avuto bisogno di incanalare la mia energia in un impegno e un’attività sociale. Crescendo si individuano ancora meglio gli strumenti e le modalità per farlo. questo lavoro mi ha dato una “lente d’ingrandimento” Io mi accorgo subito se la persona che mi sta parlando è una persona aggressiva, anche se quell’aggressività è nascosta. Ci sono dei segnali che io, ormai, vedo prima degli altri…». A rendere ancora più incisivo l’incontro ci hanno pensato gli stessi studenti che hanno curato un intenso video mentre la giovanissima Arianna ha letto alcuni brani di ‘‘Amore criminale’’, accompagnata da Andrea. All’incontro è intervenuta anche Alina Gadaleta Caldarola, presidente della Consulta femminile del Comune di Molfetta, ente istituzionale comporta da 57 realtà associative, enti, partiti e movimenti. «Parlare di queste donne è mantenerle in vita – ha sottolineato la presidente - Non ci sono ragioni, non ci sono motivi validi... c’è anche una serie di strumenti per conoscere, individuare, punire. A Molfetta esiste un centro di ascolto ed una delibera comunale che prevede la costruzione di un certo antiviolenza». Senza dimenticare il numero verde al quale rivolgersi e denunciare: il 1522. «Sapere e pensare che valiamo e valiamo molto – ha concluso Matilde D’errico – e, nel dubbio, che abbiamo ragione noi».
Autore: Isabella de Pinto