Una caratteristica dell’azione umana è proprio quella di dare continuamente inizio a qualcosa di nuovo e questo non significa che sia sempre permesso cominciare ab ovo, creare ex nihilo. Per fare spazio alla propria azione, qualcosa di preesistente dev’essere rimosso o distrutto e così vengono cambiate le cose di prima…
Hannah Arendt
1. Circola sempre più insistente la domanda: cosa resterà di questa esperienza di governo della città? E quale futuro? Non mi voglio sottrarre a questi punti di interrogazione che evidentemente dissimulano il bisogno del bilancio e del rilancio. Della retrospettiva e della prospettiva. Allora chiedo la parola.
2. Il bilancio di sei anni di amministrazione è un’operazione complicata. Può trasformarsi in un puntiglioso elenco di crediti ma anche di debiti, oppure può concentrarsi sul risultato complessivo della gestione. Per la prima operazione c’è tempo e normalmente ci sono le campagne elettorali. La seconda operazione è, invece, in questa fase, possibile e soprattutto propizia.
3. Noi non dovevamo solo amministrare bene la città, dovevamo anche cambiarla. Questo il senso profondo quasi storico del duplice investimento del ’94 e del ’98. Non solo una buona erogazione dei servizi ma soprattutto una diversa idea della città. Non solo efficienza nella pulizia e nella manutenzione delle strade e delle lampadine ma anche un nuovo modello di sviluppo. Insomma, valeva anche per noi: “asfaltare non è governare”. Il giudizio sull’amministrazione lo lasciamo ai cittadini. A quello sul governo vorrei dare qualche contributo.
4. Molfetta è cambiata in questi sei anni? Sostengo, senza mezzi termini, di sì. E’ cambiato il suo clima sociale, culturale. Soprattutto sta cambiando la sua struttura economica. Il palazzo si rifà dalle fondamenta e le fondamenta di Molfetta nel ’94 erano le rimesse esterne e la speculazione, cioè fatiscenti. Se si rimuove questa constatazione originaria, ogni giudizio attuale viene deformato. Ancora una volta, insomma, la memoria. Molfetta oggi si presenta con una struttura economica che si va rapidissimamente consolidando. Nel campo della manifattura (soprattutto nella meccanica), nel terziario e nel terziario avanzato sono in atto massicce dinamiche espansive. Il paesaggio nella zona a ponente della città si sta trasformando con centinaia e centinaia di nuovi insediamenti che sorgono a vista d’occhio.
5. Sviluppo e lavoro erano i primi obiettivi di governo. Il nuovo sviluppo che la città sta conoscendo nelle sue zone produttive drena ormai nuova occupazione. Nessun cedimento berlusconiano è, ormai, nella constatazione che la città sta andando verso una secca contrazione della disoccupazione. Anzi, ci sono ormai le condizioni per ricondurre nel giro di pochissimi anni la disoccupazione alla soglia fisiologica. Ovviamente molto c’è ancora da fare, per esempio sul terreno della formazione, ma possiamo ben dire con tranquillità che la città ha imboccato la strada giusta.
6. La casa, poi. La complessa regolazione urbanistica del PRG e dell’art. 51 ha avuto una gestazione certamente più lunga del previsto ma ormai è entrata in una fase operativa. Le cooperative, gli imprenditori, i proprietari fondiari hanno metabolizzato la diversità del nuovo contesto non più deregolato come nel passato e, tranne qualche residua resistenza, il principio dell’equità è stato ormai interiorizzato. Si tratta di una conquista di enorme valore non solo amministrativo ma anche culturale. Finalmente la città ha sperimentato che regolando gli interessi di ciascuno in una logica pubblica e collettiva, questi si tutelano meglio che con le scorciatoie clientelari.
7. Infine la qualità della vita. I molteplici riconoscimenti che Molfetta ha ottenuto, dalla città amica dei bambini e delle bambine ai vari premi come comune riciclone, testimoniano una tensione continua sulla qualità non solo ambientale ma anche sociale della nostra convivenza. E’ un dato che Molfetta è scelta molto frequentemente come partner per progetti comunitari a livello europeo. Insomma, sono convinto che i molfettesi oggi abbiano un’idea migliore della loro città rispetto a sei anni fa, magari inconsapevolmente. La quantità di cittadini che si sono riappropriati della loro città e vi concorrono con livelli di coinvolgimento diversi, dal piccolo gesto della raccolta differenziata al volontariato nei gruppi o alla partecipazione a scelte pubbliche, è certamente cresciuto. La città pulita, con verde crescente, di riconosciuta vitalità sociale (il tessuto associazionistico è cresciuto a dismisura: 59 associazioni sportive, 80 associazioni culturali, 46 associazioni di volontariato), con una condizione di sicurezza relativamente tranquilla (si pensi alla scomparsa del narcotraffico) sta generando una cultura civica diversa, un positivo senso si appartenenza. Tutto questo, ovviamente, non deve indebolire la consapevolezza degli enormi problemi ancora irrisolti, la quantità di disagio senza nome e senza risposta che non siamo ancora riusciti a raggiungere efficacemente. E’ il tema delle due città, quella che appare e quella sommersa, che non si sono ancora né riconosciute né riconciliate. Il guado è appena iniziato.
8. Cosa c’entra l’amministrazione con tutto questo? Rivendico a noi stessi un atteggiamento. Aver scelto di concentrarci incessantemente sulla definizione degli obiettivi e delle regole. Idee politiche chiare e trasparenza nell’azione dell’istituzione hanno generato un clima di fiducia reciproca, il radicamento di rapporti di stima e di collaborazione, la moltiplicazione delle energie. Non ci siamo posti come mediatori dei processi, non abbiamo creato legami di dipendenza, non abbiamo costruito clientele. La relazione è stata libera.
9. Insomma, cosa resta. Resta un’esperienza di riformismo vero, nel senso che è andato, senza barare, al cuore dei bisogni strutturali della comunità, anche quando si è trattato di scelte non immediatamente popolari (esempio ultimo delle zone blu) e senza trascurare una moderna efficienza nei servizi pubblici più ordinari (si pensi all’invezione pionieristica della Molfetta Multiservizi).
10. Evidentemente il bilancio dev’essere articolato meglio e, diranno in molti, con molta più attenzione alla colonna dei ritardi e dei passivi. D’accordo, ma credo che sul senso complessivo di questa esperienza di governo i cittadini possano discutere nei termini così riassunti.
11. Piuttosto il bilancio non sarebbe corretto se non si accostasse accanto alla valutazione del progetto anche un’analisi del soggetto. Anzi dei soggetti, della classe politica che è stata protagonista dell’esperienza. E’ inutile nascondere che si avverte un nuovo scarto tra quello che sta avvenendo nella città, la partita decisiva che si sta giocando con il futuro e la rappresentazione che il sistema politico ne sta dando. Il ceto politico, la classe dirigente è nuovamente in ritardo rispetto ai problemi. E lo spettacolo troppo spesso si è fatto deludente. Bisogna riconoscere che siamo di fronte ad una nuova divaricazione, accentuatasi certamente tra il primo e il secondo mandato. Lo sfilacciamento politico, un senso di responsabilità sempre più vacillante, personalismi arroganti, una preparazione politico-culturale modesta hanno reso il passo dell’azione amministrativa molto meno spedito e vi assicuro incredibilmente sofferto. Un giorno forse si riconosceranno i cirenei che in questi anni hanno donato la loro sofferenza nella politica solo ed esclusivamente per amore della città.
12. Il rilancio o meglio il che fare. Intanto le idee. In questi anni abbiamo lubrificato e rimesso in sesto il motore dello sviluppo. Nei prossimi bisognerà guidarlo con intelligenza, definire la rotta della città. In questi anni abbiamo riattivato lo sviluppo, nei prossimi bisognerà governare l’innovazione. Ad esempio: come rendere la città competitiva rispetto alle sfide imminenti della grande distribuzione? Come riorganizzarla perché continui ad esercitare un’attrazione evidentemente diversa rispetto a quella potente che richiameranno i grandi sistemi di concentrazione del commercio e del tempo libero in collocazione all’esterno della città? Come sostenere la ripresa economica in atto con nuovi servizi alle imprese, cioè come fare sistema tra i soggetti dello sviluppo? Come rendere integrati lo sviluppo produttivo, l’ambiente e la tutela della città bella? Come organizzare la città rispetto alle opportunità date dalle nuove tecnologie? Come rispondere alle nuove domande di integrazione che sorgono in un tessuto sociale già di fatto multietnico e multiculturale?
13. E’ evidente che un confronto su questi temi presuppone la condivisione di un comune atteggiamento: le sfide dell’innovazione vanno colte e affrontate. Nè ci si può chiudere in difesa, nella presunzione che possa darsi una protezione, né si possono cancellare con un giudizio ideologico. L’innovazione è un fatto e solo governandola vi si possono introdurre i valori di giustizia, solidarietà, sostenibilità che ci stanno a cuore. Questa è la difficilissima partita del riformismo moderno.
14. E’ un dato ormai statisticamente rilevante che il centrosinistra quando si è discostato da una proposta politica con questi connotati di slancio, chiarezza, credibilità, ha sempre perso il confronto elettorale. Non sappiamo e non vogliamo fare clientelismo, non abbiamo denaro. Abbiamo, però, idee e risorse umane. Quando le abbiamo integrate in modo giusto ed intelligente abbiamo rovesciato la spinta inerziale e moderata della città in una domanda di cambiamento. Il proporzionalismo fa male al centrosinistra, ogni volta che ha prevalso abbiamo perso. Tra l’altro il proporzionalismo a Molfetta ha favorito la recrudescenza del voto di pacchetto e del voto di candidato, cui in questi anni abbiamo assistito. E’ evidente che questa forma del consenso prevale quando la politica buona è debole. Sarà dura ma è così. E ci sono ragioni per credere che sarà così anche nel futuro.
15. I processi attivati in questi anni hanno registrato il declino dei vecchi soggetti dominanti (i protagonisti della rendita parassitaria) e la lenta emersione di nuove figure sociali. Oggi la città si presenta vitalmente animata dai nuovi soggetti dell’economia, delle professioni, dell’azione sociale, dell’educazione e della formazione, della produzione culturale. E’ questa la città che è cresciuta, grazia al clima amministrativo di questi anni e a quell’idea di politica. Con nessuno di loro esiste una sudditanza clientelare. Con tutti, al contrario, una relazione di stima e di efficace collaborazione.
16. Dunque la città si presenta al bilancio con una significativa ripresa economica. La politica ha governato e, dunque, assistito alla rigenerazione dei meccanismi attraverso cui la città ha ripreso a produrre ricchezza. I flussi economici tra sviluppo ed edilizia cominciano ad assumere una straordinaria consistenza. Aver governato tutto questo con trasparenza è certamente l’elemento più profondo del nostro bilancio. A mio giudizio il più grande valore in assoluto è aver consentito la ripresa economica senza generare nuovi centri di potere, nuove forme di concentrazione di potere. La ripresa ha, cioè, preso la forma di una vera democrazia economica. Il tessuto imprenditoriale che sta crescendo è per tali ragioni distribuito, sano, pulito, con una buona sensibilità sociale, robusto.
17. La consistenza dei flussi economici sta, però, suscitando ghiotte tentazioni di una vecchia politica più propensa alla mediazione parassitaria che all’azione di governo dell’innovazione. Questa tentazione, bisogna riconoscerlo onestamente, taglia in modo trasversale destra e sinistra, senza confini di schieramento. Se quest’idea della politica e dell’amministrazione dovesse riconquistare il palazzo molte speranze andrebbero distrutte, molte energie dissipate, molti slanci sarebbero spenti. La città non può permettersi un arretramento. Gran parte delle difficoltà di questi anni sono in fondo riconducibili al rigore con cui abbiamo tenuto protetto dall’invadenza di una certa politica le dinamiche più delicate dello sviluppo. C’è da ritenere che tali spinte s’intensificheranno nel prossimo futuro man mano che cantieri e opportunità continueranno a fiorire.
18. Non abbiamo clientele né denaro. Abbiamo però l’amicizia e la stima di questi nuovi soggetti. Ad essi non abbiamo finora chiesto nulla. Oggi, invece, chiediamo loro di assumersi la responsabilità della prosecuzione di questo progetto di cui sono stati liberamente protagonisti. Insieme vogliamo continuare a immaginare una città civile e moderna, intraprendente e solidale, innovativa e sostenibile. Insieme vogliamo continuare a incrociare gli sguardi tra culture diverse e senza pregiudizi ideologici sulle cose importanti da fare, sui problemi da risolvere, sulle sfide da affrontare. Insomma, il rilancio è possibile con una nuova alleanza tra i mondi vitali della città. Una volta si sarebbe detto con un nuovo coagulo, un nuovo blocco tra le energie sociali migliori. Le forze politiche non abbiano paura di riconoscere la ricchezza vitale che agisce al loro esterno. Solo da un positivo corto circuito tra il sistema della politica e questi mondi esterni potrà derivare nuova linfa per rigenerarsi e rigenerare la politica.
19. Andare oltre noi stessi è dunque un passaggio obbligato se non vogliamo arenare questa esperienza nella palude di un politicismo tra sigle che, come le carte dei tarocchi, può ormai raccontare qualunque storia tanto è una finzione. Andare oltre noi stessi non con la paura di perdere ma con la curiosità di trovare qualcosa che ci manca, anzi il molto che in questi anni è emerso. Essere capaci di far innamorare di questo sogno molti altri soggetti, nuovi altri interlocutori che magari non si sarebbero mai incrociati con noi e che invece hanno intuizioni molto importanti da raccontarci. Da soli non bastiamo, questo dev’essere chiaro. Hanno fatto molto male gli equivoci e le incomprensioni con cui sforzi anche recenti in questa direzione sono stati ostacolati.
20. Il successo del centrosinistra è sempre stato misura, al contrario degli avversari, delle passioni che è riuscito a suscitare. Non conosco altro modo per suscitare passioni che battersi per ciò che è giusto. Per l’idea giusta di città. Noi l’abbiamo. Vi sembra poco.
Guglielmo Minervini