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Il 2 Giugno “a Molfetta”, il ricordo degli Eredi della storia e delle Associazioni combattentistiche
01 giugno 2014

MOLFETTA  -  Gli Eredi della storia ricordano che  il 2 Giugno 1946 si tiene il Referendum istituzionale che sancisce la fine della monarchia Sabauda e l’inizio della Repubblica. Per la prima volta in Italia, le donne esprimono la loro preferenza. Per la prima volta il popolo Italiano è chiamato a scegliere il proprio assetto istituzionale. Per la prima volta dopo il ventennio fascista gli elettori tornano ad esercitare il potere. La democrazia è ripristinata e compiuta con la successiva promulgazione della Costituzione.

"La data del 2 Giugno  - dice un comunicato - porta con sé una carica intrinseca di unità nazionale di matrice Democratica, fondata dal sacrificio degli uomini e delle donne coinvolte nella Seconda Guerra Mondiale. A Molfetta tale festa è sempre stata commemorata, con gli aderenti alle associazioni Combattentistiche e d’Arma in prima fila a ricordarla e tramandarla. Il numero dei combattenti si è assottigliato nel corso degli anni, ma i valori che hanno sostenuto e propugnato sono stati la linfa con cui le nuove generazioni ne hanno preso il testimone. Un ciclo che rischia di rompersi. Per la prima volta a Molfetta le istituzioni pubbliche cittadine non terranno una cerimonia ufficiale. Eppure, dopo il declassamento del 1977, la festa della Repubblica Italiana è tornata giorno di festa nazionale con la legge 336 del 20 Novembre 2000, su impulso dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Ciò ebbe effetti benefici in ogni parte del paese. In città, anziani combattenti e giovani curiosi si incontravano per celebrare la festa tramite mostre e convegni. Le foto allegate, risalenti al 2003, testimoniano l’attaccamento alla Festa.

Ricordare un evento nato grazie all’antifascismo è un dovere di ogni italiano. Lunedì 2 Giugno, 68° anniversario della nascita della Repubblica, le associazioni Combattentistiche e d’Arma, si incontreranno in Piazza Mazzini alle ore 9.30 per la consueta cerimonia dell’alzabandiera sulle note dell’inno nazionale, con gli onori ai caduti. La cittadinanza è invitata.

Successivamente una delegazione si sposterà a Bari su invito ufficiale del comandante della 3a Regione Aerea, il Col. Vincenzo Girardi e del vicepresidente nazionale dell’Istituto del Nastro Azzurro, il Gen. Giuseppe Picca. Particolarmente importante sarà il conferimento dell’Attestato di Benemerenza con medaglia al combattente Cavaliere Giuseppe Scardigno, classe 1915, che contribuì alla nascita della Repubblica. Attestato che non sarà consegnato dalle istituzioni molfettesi, bensì dalle massime autorità militari di Bari. Nella speranza che tale dimenticanza non abbia più a divenire, sarebbe bello vedere la città imbandierata con il tricolore al vento".

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A Napoli, il fanatismo monarchico provoca morti e feriti. Umberto, definito poi il re di maggio, ripete: “Non voglio restare un minuto di più del necessario, ma neppure un minuto in meno”. Il “tira e molla” continua sino alla sera del 12, quando il Consiglio dei ministri decide di stringere i tempi e investe De Gasperi dei poteri di capo dello Stato, i poteri del re, senza attendere la “seconda adunanza della Cassazione”. L'atto unilaterale e, per molti, illegale è decisivo, Umberto si arrende. Rifiuta per l'ennesima volta di passare all'azione: “Non voglio un trono macchiato di sangue”. Scrive un messaggio alla nazione: è un messaggio di protesta, con cui spera di dare perennità alla questione istituzionale. – “Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimenti di sangue o di subir violenza. Italiani, mentre il Paese, da poco uscito da una tragica guerra, vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto. Confido che la Magistratura, le cui tradizioni di indipendenza e di libertà sono una delle glorie d'Italia, potrà dire la sua libera parola; ma non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice dell'illegalità che il governo ha commesso, lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli Italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come italiano e come Re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della Corona e di tutto il popolo, entro e fuori i confini della nazione, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto. A tutti coloro che ancora conservano fedeltà alla Monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all'ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l'esortazione a voler evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace. Con l'animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia terra”. – Alle 3 del pomeriggio del 13 giugno, il Re di maggio” lascia il Quirinale, dopo trentaquattro giorni di regno. La bandiera sabauda viene ammainata. A Ciampino, c'è una piccola folla. Umberto ha gli occhi lucidi: l'impassibilità del padre non gli appartiene. Alle 16.09, il Savoia Marchetti rulla sulla pista, si alza in volo e prende la rotta del Portogallo.
Anche questa è Storia. Le prime notizie sono sorprendenti. Quella mattina del 3 giugno, non c'è niente di ufficiale, perché il ministro degli Interni, Giuseppe Romita, non parla. Ma le voci, successivamente e storicamente confermate, indicano un grosso vantaggio iniziale dei “si” alla monarchia. Verso la mezzanotte del 3 giugno, c'è grande euforia nell'entourage del Quirinale: gli informatori affermano che il 59 per cento dei voti scrutinati sono andati ai Savoia. Ma mancano ancora molte sezioni: siamo all'inizio dello spoglio. La mattina del 4 giugno, i giornali monarchici danno per certo la vittoria. Ma, nella notte di quello stesso giorno, Pietro Nenni, leader socialista, lascia filtrare la notizia: lo spoglio è quasi finito, la repubblica è in vantaggio. I quotidiani che hanno sostenuto la causa repubblicana, escono a titolo di scatola. E' il 5 giugno. Alle 18, Romita convoca la stampa. E' ufficiale: la repubblica ha vinto. Il presidente delo Consiglio è già salito al Quirinale, per comunicare a Umberto il verdetto delle urne: “Maestà, il lavoro di spoglio ha portato alla constatazione di una considerevole maggioranza a favore della repubblica. Non le nascondo che il primo a esserne sorpreso sono io”. Ma, intanto, c'è chi non vuole arrendersi. I risultati ufficiali testimoniano che la monarchia ha ottenuto assai più voti di quel che anche gli ottimisti, fra i fedeli di Umberto, avessero pronosticato: 10.718.502 contro 12.718.641. E' uno scarto minimo, che alimenta ingiusti sospetti di brogli e propositi avventuristici. C'è chi prospetta al re la possibilità di un atto di forza. C'è chi affida il non “mollare” a un ricorso contro il risultato delle elezioni. Intanto, i fautori di un golpe premono e Romita, nelle sue memorie, conferma: “Il quei giorni dovetti effettivamente fronteggiare la prospettiva di un attacco che avrebbe potuto giungermi dalle mie stesse forze dell'ordine e proprio dai carabinieri”. Confermato dallo stesso Umberto, in una intervista di anni e anni dopo a Luigi Barzini: “Se avessi mai pensato, da luogotenente di mio padre e nel mese di regno al Quirinale, ricorrere alla forza, non mi sarebbero mancati gli uomini pronti a seguirmi, né i mezzi, né le occasioni. Non ho mai considerato questa possibilità, perché avrebbe gettato il Paese inevitabilmente nella lotta fratricida e avrebbe messo in pericolo l'indipendenza e l'unità. Non potevo io disfare ciò che la mia Casa aveva fatto”. – I risultati del Referendum del 2 giugno 1946. Gli italiani hanno dato alla repubblica 12.718.641 voti, alla monarchia 10.718.502. Il Nord optò massicciamente per voltare pagina. Nel Sud e nelle isole, invece, prevalse nettamente la tradizione monarchica, con alla testa la Campania e la Sicilia.

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