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Giulio Mastromauro e il sogno del cinema dei sentimenti
15 maggio 2020

Cosa direbbe un padre a un figlio che ha un sogno? E cosa farebbe un giovane uomo se il suo sogno fosse quello di “fare il cinema”? A volte non c’è scelta se seguire il sogno o farsi inseguire tutta la vita da un sogno che pretende di essere realizzato. Giulio Mastromauro non ha scelto, perché il sogno l’ha portato con sé, trascinandolo in esperienze di vita e professionali neanche lontanamente immaginabili per un ragazzo di una città di un Sud difficile da lasciare ma che si porta sempre con sé. “Nuvola”, “Valzer”, “Carlo e Clara”, ed ecco che arriva il sogno dei sogni: Il David di Donatello per il miglior cortometraggio. Chi conosce il suo percorso professionale e gli addetti ai lavori asseriscono che è un successo meritato. Impossibile non condividere questo pensiero ma lei aveva la percezione che il tuo corto avrebbe vinto? «Nei giorni che precedono la finalizzazione di un film generalmente si organizzano delle visioni private per addetti ai lavori. Nel caso di “Inverno” i feedback furono da subito molto positivi, ma non era affatto scontato. Avevo paura che il film fosse troppo personale, ma con tempo ho capito che mi sbagliavo. Certo, mai avrei immaginato che il film vincesse il David di Donatello. Negli anni passati l’Accademia del Cinema Italiano ha quasi sempre premiato cortometraggi che trattavano temi di rilevanza sociale, quindi non mi aspettavo scegliessero il mio corto. Eppure, per la prima volta nella storia, l’Accademia ha conferito il premio all’unanimità e già al primo turno». Pensa che i corti candidati insieme al suo “Inverno” abbiano la stessa potenza narrativa? «Sono ottimi lavori diretti da altrettanto bravi autori emergenti. Gli sguardi e gli stili di tutti e cinque sono molto differenti tra loro. Non è possibile metterli a confronto. Quello che posso dirle però è che, dai messaggi di affetto che sto ricevendo in questi giorni anche da chi non conosco, “Inverno” ha emozionato e toccato i cuori di moltissime persone. E questo per me ha un valore enorme». La malinconia, i ricordi e dolori profondi, l’inverno più duro. Il bambino greco, figlio di giostrai raccoglie i dolori di infanzie. Il piccolo Giulio ha ispirato Timo, il protagonista di “Inverno”? «Ci sono i ricordi di me bambino. Lontani, ma allo stesso tempo estremamente nitidi. Riportare sullo schermo la mia storia attraverso quella di Timo e della sua famiglia è stato un modo per me di elaborare, forse per la prima volta, questa dolorosa perdita e, allo stesso tempo, esprimere il mio desiderio di condividerla con chi ha purtroppo vissuto un’esperienza analoga alla mia. Il film ha una matrice autobiografica, ad eccezione dell’ambientazione. Avevo bisogno di un luogo reale, con persone reali, che mi riportassero indietro nel tempo, alla mia infanzia. E l’ho trovato nel mondo dei giostrai e dei circensi, così profondo e ricco di umanità. Mi sono sentito a casa». Beppe Fiorello è un artista talentuoso, schivo, amato da pubblico e critica. Cosa ha spinto Beppe Fiorello ad “adottare” il suo corto? «Io e Fiorello non ci conosciamo personalmente. Posso dirle quello che mi hanno raccontato però. Ha visto il corto e lo ha definito “un cazzotto nello stomaco”. Gli è piaciuto al punto da proporsi all’Accademia e a Rai affinché fosse lui a premiarmi fisicamente sul palco durante la cerimonia di premiazione. Ma poi, come sappiamo, le cose sono andate diversamente...». Un successo anche per Zen Movie, casa di produzione e distribuzione di cortometraggi. Un successo di famiglia che divide con Virginia Gherardini. Theo cosa le ha detto immediatamente dopo la vittoria? «Dice bene, è un vero e proprio successo familiare. Io e Virginia siamo soci e coppia nella vita, e nostro figlio Theo ovviamente respira cinema dalla mattina alla sera. Quando l’Accademia mi ha chiamato, la notizia ci ha letteralmente travolti. Dovevamo mantenere il massimo riserbo fino all’annuncio delle candidature, ma l’euforia che si respirava in casa era già tanta. Lui non capiva esattamente cosa stessa accadendo, così gli abbiamo spiegato che la nostra famiglia aveva vinto il premio più importante di tutti. Adesso non vede l’ora di conoscerlo il “Signor David”». La semplicità e la profondità, con uno sguardo malinconico di ricordi struggenti e colorati di sfumature tenui, un termine anagrammando il quale si ottiene la parola unite, come unite sono tutte le fasi della vita, un passato vissuto e un futuro ancora da sognare. David di Donatello 2020, ancora tanto da vincere. © Riproduzione riservata

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