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Giulia Finzi: dimenticato anche il Museo del Pulo
15 febbraio 2020

Il Pulo è chiuso da oltre 6 anni, ora sono ripresi i lavori di messa in sicurezza, ma saranno sufficienti per riaprirlo al pubblico? Se no, cosa serve ancora? Lo abbiamo chiesto a Giulia Finzi, archeologa e presidente pro-tempore di Polje, consorzio di associazioni locali che ha gestito la riapertura del Pulo per cinque anni, dal 2008 al 2013. «Il problema è di tipo amministrativo ed è legato alla gestione del bene. Fino al 2018 il Pulo è stato di proprietà della Provincia, un ente lontano e che non si è dato, tra le sue priorità, la tutela e la valorizzazione del sito. Numerose le diatribe con il Comune di Molfetta che, nonostante il legame imprescindibile della città con il Pulo, non investiva in un bene che non era di sua proprietà. Dal 2018 il Pulo è stato affidato al Comune di Molfetta per una gestione ventennale. L’intento del Comune è quello di creare un parco preistorico-archeologico, che comprenda vari siti: il Pulo, il museo archeologico e l’ex fondo Azzollini su cui sorgeva il villaggio capannicolo neolitico. Ai siti citati si aggiungerebbero anche il convento dei Cappuccini al Pulo e la cava dei dinosauri che, tuttavia, sono beni di proprietà privata. La gestione in rete è sicuramente auspicabile, il Pulo e il museo archeologico, ad esempio, non sono mai stati aperti contemporaneamente, la visita al museo è incompleta se non è possibile recarsi sul luogo del ritrovamento dei reperti, che è a breve distanza. Noi, come consorzio Polje, abbiamo gestito adeguatamente il sito archeologico a partire dal 2008, lavorando per la sua valorizzazione e tutela. Gli accessi agli eventi, ad esempio, erano limitati a gruppi ridotti ed erano ritardati, affinché non vi fossero più di un certo numero di persone nel sito contemporaneamente. Un piano di gestione del Pulo che metta in rete anche i luoghi limitrofi, compreso il pianoro soprastante, lo si vuol avviare ma non vi è, ad ora, sufficiente chiarezza sui dettagli della nuova gestione e molte idee sono ancora sulla carta. Noi, come consorzio Polje, offriamo la nostra esperienza maturata sul campo, nella gestione del sito, l’apporto di tecnici qualificati, affinché si possa collaborare per la gestione del bene, non ripartendo da zero e non sminuendo il lavoro svolto in precedenza. Per quanto riguarda la riapertura del sito non è possibile quantificare i tempi se prima non termineranno le fasi di sistemazione del verde che, cresciuto a dismisura, ha ostruito i percorsi di visita e del tutto obliterato i reperti della nitriera borbonica: non si vedono più, infatti, le strutture murarie ed è a rischio crollo un carrubo secolare mentre sono venuti giù i muretti a secco che definiscono il percorso di visita. Gli archeologi potranno stimare gli interventi di restauro sulle evidenze archeologiche solo a percorso liberato: ci auguriamo che lo stato di conservazione della nitriera, delle fornaci e degli intonaci idraulici delle grandi vasche non siano irrimediabilmente compromessi». Chi è responsabile dell’attuale degrado del Pulo? «Le lungaggini burocratiche. Non c’è, in realtà, un soggetto responsabile fino ad poco tempo fa il bene era della Provincia, i tempi di intervento erano lunghi poiché il sito non era tra gli interessi principali. Però dal 2018, anno in cui il bene è stato affidato al Comune, si poteva cominciare a lavorare. Noi, come consorzio abbiamo offerto la nostra esperienza pluriennale per pianificare gli interventi necessari alla riapertura e alla fruizione del bene, anche considerando che durante la nostra gestione, vi è stato un notevole incremento di visitatori, un indotto che ormai è perso e che andava al Comune sotto forma di biglietti venduti. A quanto apprendiamo dai comunicati stampa del Comune ci sono grandi idee, relativamente alla gestione del bene, ma non si comprende come si concretizzeranno, nel frattempo, il Pulo è chiuso dal 2014 e il Museo, che non ha una vera e propria gestione dal 2016, è stato ridotto a location comunale per matrimoni. La sua apertura è stata affidata a dipendenti comunali, il cui intervento, per quanto generoso, non contempla il sabato e la domenica, quando vi potrebbe essere un maggiore afflusso turistico». Cosa resta dell’area archeologica dell’ex fondo Azzollini? «Nello scavo svoltosi tra il 1997 e il 2003 ci sono stati svariati interventi sul villaggio capannicolo neolitico dell’ex fondo Azzollini, che hanno messo in luce le stratigrafie e le strutture dell’insediamento (muri, tracce di fondi di capanne, buche di palo e sepolture) in parte già note dalle ricerche di inizio ‘900 di Massimiliano Mayer e di Angelo Mosso. I resti materiali delle campagne di scavo sono conservati nel Museo Archeologico del Pulo, naturale e necessario completamento del percorso di visita. Il Pulo, prima di essere abitato al suo interno, lo fu all’esterno, nel villaggio sul pianoro soprastante. Solo successivamente la dolina fu antropizzata e le sue grotte divennero luoghi di rifugio e di culto. Betta Mongelli, assessore alla cultura della giunta Natalicchio fece realizzare un sistema di copertura lignea a protezione di alcune aree dell’ex fondo Azzolini e una pannellistica per la fruizione turistica del luogo, includendo anche questo pianoro nel percorso di visita». Il Museo del Pulo è valorizzato a sufficienza? Cosa servirebbe per renderlo maggiormente fruibile? «Il museo del Pulo, come accennato, non è valorizzato a sufficienza, ad esempio, non vi è un servizio di visite guidate. Il museo è bellissimo, tuttavia la sua fruizione è limitata da una gestione che fa uso esclusivo di personale comunale. Mancano gli interventi di didattica museale, noi abbiamo realizzato, ad esempio, laboratori di simulazione dello scavo stratigrafico, laboratori di manipolazione dell’argilla recuperando tecniche di lavorazione preistorica, laboratori di archeologia sperimentale sulla lavorazione della selce e sulla tecnica di accensione del fuoco. Il bene va gestito in tutte le sue dimensioni, a partire da quella didattica. Oggi non vi è promozione del museo, non vi è marketing, non sono organizzati eventi nonostante all’interno della struttura vi sia una sala da 60 posti. Durante la nostra gestione organizzavamo lezioni con archeologi, incontri a tema, concerti e tante altre iniziative, con la possibilità di valorizzare anche gli spazi verdi esterni con un piccolo percorso botanico sui profumi e gli odori delle piante locali». Quale è stato il ruolo di Polje in passato, quale è oggi e quale può essere in futuro? «Il consorzio Polje ha ottenuto la riapertura del sito archeologico attraverso un percorso non semplice che ha riunito, su uno stesso tavolo tecnico, i soggetti interessati. Il numero totale dei visitatori annui è cresciuto durante gli anni della nostra gestione inoltre, per valorizzare il sito, al di fuori dei normali percorsi di visita, abbiamo intrapreso una efficace campagna di marketing, organizzato eventi, diurni e notturni e intessuto rapporti con il territorio. Noi, come consorzio, ci siamo proposti in continuità, come soggetti formati sul bene e in grado di poter dare indicazioni sulla sua gestione. Abbiamo maturato anni di esperienza, conosciamo bene il sito archeologico, le sue criticità, le sue potenzialità e il legame imprescindibile che tutti i molfettesi hanno con questo luogo che, ci auguriamo, possa presto essere restituito alla collettività». © Riproduzione riservata

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