Fascidde, poesie di Domenico Amato
Recensione
Parlando di poesia dialettale, in questa categoria va inserito il nuovo libro di poesie di Domenico Amato, intitolato Fascìdde (Scintille), ed. Minervini, chissà perché si rischia di dare per scontato che l'oggetto debba essere la realtà locale.
Quasi che utilizzando la lingua madre si debba necessariamente parlare del proprio paesello, il campanile, la piazza, il porto, costruire quadretti come quelli che i pittori locali buttano giù ad uso e consumo di emigranti nostalgici.
Per Domenico Amato l'utilizzo del dialetto è invece la chiave d'accesso ad un altro paesaggio, quello dell'anima, quasi che questo linguaggio gli permetta di superare il pudore che sempre si ha nel mettersi a nudo, nello svelarsi allo sguardo dell'altro.
Così, fra le poesie che compongono questa raccolta, la terza data alle stampe dall'autore, molte indagano il cerchio chiuso degli affetti privati.
La sicurezza provata nel rapporto con la madre, paragonato a quello cristallizzato nel capoletto che vigila sul sonno di molti di noi: “mi sentivo in braccio alla Madonna / al posto del Figlio”.
La compagna di vita, ricordata in molte poesie, con il desiderio di prolungare in molte maniere un'unione che riempie la vita, addirittura soffrendo già di un'ipotetica divisione, come nel componimento “Lo So” e in “Come due sposi novelli”.
E poi le figlie, cui offrire a propria volta protezione, da porre al sicuro anche a costo di insegnare loro la rinuncia: “Non voler bene / a nessuno / nemmeno a me / perché il bene / ti uccide dentro / figlia mia” o di cui rimpiangere il momento di intimità assoluta offerto dall'infanzia.
Fino a riscoprire la propria di infanzia, quella che si prolunga nel tempo, quella che permane nell'anima di adulto, come, anche con una certa dose di sconforto, Domenico Amato esprime in “Mi manca qualcosa”.
La poesia stessa è protagonista, nell'emozione di poterla divide con gli altri, argomento di “Che cosa sono?”, scritta in occasione della presentazione al pubblico della precedente raccolta “Ziarélle”, quasi come parola che padrona s'impone, che preme per essere espressa, che non accetta sconti o dilazioni. Non è forse un caso che l'ultimo componimento sia dedicato proprio a questo tema: “Anche se porta / cenci addosso / e ha i piedi scalzi / vuole uscire a tutti i costi / questo libro / come un ragazzino inquieto / per le strade d'estate / la controra”.
In mezzo ci sono le inquietudini di un uomo che, agli affanni di tutti i giorni e di questo tempo, aggiunge quelli del poeta che in lui. Poeta e non solo, visto che Domenico Amato è anche autore di testi teatrali, sia in dialetto che in italiano.
Lel. Salv.