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Dieci anni in curva pericolosa Il ministero pastorale di don Tonino Bello riletto nel trentennale della consacrazione episcopale
15 novembre 2022

Come sintetizzare il senso e la portata del decennio di servizio episcopale tra noi, a trent’anni dalla consacrazione avvenuta a Tricase il 30 ottobre 1982? Avendo conosciuto bene don Tonino Bello, e approfonditamente i suoi scritti, non posso che rubargli la battuta e parafrasarlo: Dieci anni in curva pericolosa, ha vissuto. Come lui scrisse, richiesto, del percorso effettuato dal vescovo Michele Mincuzzi che, apprezzandolo, volle segnalarlo in Vaticano per l’episcopato: lui, mons. Mincuzzi, sette anni in curva pericolosa; don Tonino dieci, e a pieni voti. I vescovi postconciliari, quelli bravi, hanno vissuto tutti di corsa, e in cur- va, dove il pericolo è maggiore e l’impegno pure, sospinti dallo Spirito non lungo traiettorie rettilinee. La curva è il luogo della conversione. Sempre “pericolosa”: perché sai ciò che lasci e non sai ciò che trovi. Dieci anni in curva pericolosa, per don Tonino. Un decennio di opzioni osate per attuare il Concilio. Il cui dettato continua ad indicare nell’attualità. Ma che significa? Parafrasando e ribadendo il suo stesso dire, significa: riconduzione a “centrocampo” della Parola di Dio e della vita “contemplattiva”. Introdu- zione del “cambio” come categoria biblica a cui improntare le scelte con- crete. Elaborazione dottrinale ed espe- rienza pratica della vita di comunione all’interno della comunità dei creden- ti. Presentazione della Chiesa come “fontana del villaggio” per tutti. De- finitivo abbandono di una pastorale di contenimento. Gusto di progettare nuovi percorsi pastorali. Convinta am- missione in “ruolo” dei laici secondo lo stile sinodale. Riscoperta del servizio agli ultimi indossando il “grembiule” oltre che la stola. Perdurante condivisione delle sofferenze della gente. “Vizio” di schierarsi costantemente dalla parte degli indifesi. Legittimazione dei problemi umani (relativi alla vita sociale, al lavoro, alla giustizia, al radicalismo della pace e della nonviolenza, alla salvaguardia del creato) come temi di storia della salvezza. Netta preferenza per la santità più che per la sacralità e il suo consumo. Scelta di un impegno di profezia e non di conquista, di solidarietà e non di annessione, di povertà e non di dominio. Legato alla sua terra d’origine, don Tonino ha sviluppato una coscienza planetaria. E soprattutto l’ha testimoniata. Ha avuto la risolutezza di tener fede alle sue visioni profonde, e tradurle in azione, saldato alle sue parole, che non lasciava mai uscire da sole, non lasciava che andassero orfane nel mondo, ma sempre legate al suo respiro e al suo cuore pensante. Successore degli Apostoli, ci ha fatto constatare che la catena ininterrotta che lo ha legato a Pietro fino a Giovanni Paolo II che lo ha nominato vescovo, e a Francesco di cui è stato antesignano, non è uno status di potere, appannaggio di una casta ristretta e gerarchicamente ordinata, ma un vincolo di fraternità che si apre e si specchia nella mondialità. Una fraternità fondata non tanto sul pastorale o sulla mitra, quanto sull’anello episcopale, cioè sulla fedeltà a Cristo, al Vangelo e al Popolo di Dio; in simbiosi con il mondo, la cui navata ha attraversato fino in fondo: fino ad esplorare con coraggio i sentieri mi- nori e i vicoli più bui di questa ter- ra, alla ricerca del volto dell’altro. Per bere, ora, tutto l’azzurro del cielo. Nella comunione dei santi. © Riproduzione riservata

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