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Cultura torna natura di Gaetano Grillo Una lettura critica della Mostra del Maestro
15 gennaio 2020

La percezione della fine di un ciclo, elemento che Furio Jesi ravvisava come fortemente incidente nella produzione di Giovanni Pascoli, ci sembra informare la personale Cultura torna Natura di Gaetano Grillo, allestimento che coniuga magistralmente scultura, pittura e scrittura. L’esposizione, che è stata ospitata fino all’otto dicembre nell’ex pastificio Caradonna, ha conosciuto il suo culmine nell’inaugurazione del monumento rappresentante le due torri campanarie del Duomo romanico, donato dall’artista alla città. È infatti tipico di chi si sente giunto al termine di un ciclo il volerne rammemorare gli elementi fondanti. Ecco emergere quindi il concetto di identità, chiave di volta di buona parte della produzione di Grillo. Si comprende così il suo desiderio di restituire l’idea di un’identità ormai fondata sull’ibridazione, favorita da quel mare virtuale ch’è la rete. Nell’alfabeto dall’artista creatore rivive la storia segnica dell’umanità: dalle tavole ugaritiche ai simboli della globalizzazione e dei social network. Mescidanza, riscrittura, metamorfosi della materia e dell’essere: tout se tient nel sogno del demiurgo, che ambisce a ricomporre nel suo microcosmo l’opera compiuta da “Colui che è” nel Libro di Zohar. Porre ordine nel Caos attraverso l’identificazione di quei grafemi che andranno a combinarsi per nominare le cose e squadernare essenze per effetto del linguaggio. L’arte di Grillo appare pervasa dal motivo del palinsesto, di cui una delle più evidenti declinazioni è rappresentata da Segretamente, tela del 1985, distrutta dall’artista e poi recuperata, con dedica a Hidetoshi Nagasawa, con cui il “pittoscultore figurativoconcettuale” condivide, a nostro avviso, la tensione alla costruzione di ponti tra civiltà e l’incidenza dell’archetipo del giardino. Palinsesto diviene il teatro stesso dell’allestimento, l’Ex Molino, “uno degli ultimi esempi di architettura industriale che testimoniano l’attività imprenditoriale che connotava Molfetta sul finire del XIX secolo”. Ora, questo luogo – ristrutturato grazie ad Antonio Messina e consacrato alla cultura – diviene sede di una diversa operosità, quella dell’artifex che ripensa alla storia umana e ne ricombina i tasselli, spesso suggellandoli con la sua personale impronta, come uomo che nomina e crea. Palinsesto diviene quindi la ‘semiosfera’ cosmica stessa, rimodulata, nei suoi simboli e segni, per testimoniare l’eterna heideggeriana Steit – non puro braccio di ferro, ma costante reciproco rimodellamento – tra Natura e Cultura. Una Natura che può assumere i tratti dell’hortus deliciarum, nel trionfo del bianco o nell’esaltazione di un silenzio quasi alchemico nel suo diventare fucina dell’essere. Natura che si ricompone nell’archetipo della Grande Madre, di Gea, con il suo portato di bellezza e pericolo, effigiato nel serpente, altro modulo ricorrente (bellissima l’Eva concettuale), simbolo di ciclicità, ma anche della minaccia che affiora nel contesto edenico. Minaccia che può estrinsecarsi nel rovo congiunto alla rosa, nell’icona – possente – della pianta carnivora, nell’abbraccio mortifero del Mare che inghiotte il naufrago, dissolvendone l’esistere, nella sua immensa distesa. Una Natura ancipite, eppure amatissima, cui l’uomo deve ricondursi e ricongiungersi se non vuole divenire testimone della fine della Vita, se non vuole essere l’ultimo a nominare e ricordare le cose. Palinsesto è la tradizione pittorico-letteraria, con cui il pittoscrittore gioca con ironia e levità, rievocando da Dante a Carrà, da Modigliani a Matisse, con il gusto del calembour e dell’amiccamento all’osservatore colto. Grillo traduce il concetto dell’identità come ibridazione anche a livello tecnico; ecco spiegata l’insistenza sul polimaterico, che favorisce una felice osmosi tra pittura e scultura, giungendo a esiti di grande preziosità. Colature, grumi materici, variazioni dalla solarità al grigiore all’oscurità – ch’è però possibilità di rinascita – e ancora ambivalenza del colore (si pensi al rosso vivificante del Sole, ma anche al rosso allucinato dell’omaggio munchiano o dei papaveri o della tela squarciata consacrata alla guerra) concorrono a determinare un effetto di notevole pregio e d’universale afflato. © Riproduzione riservata

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