Cementificio abbattuto, una ferita nel paesaggio e nei ricordi
Caro Direttore, quella fredda e nuvolosa mattina di gennaio non mi sono accorto di niente. Ero in stazione e avvertivo però qualcosa di strano, un'indefinita sensazione di vuoto, sentivo che qualcosa di strano doveva pur esserci. E il vuoto c'era davvero, e che vuoto, una ferita nel paesaggio e nei ricordi: dello storico ottocentesco Cementificio Gallo non c'era più traccia. Superata l'iniziale fase di incredulità, sbigottimento e rabbia, è stato difficile capire, difficile metabolizzare, difficile pensare e credere quanto noi molfettesi siamo così spesso ingrati e brutali verso il nostro passato.
Quelle ciminiere, e il cementificio tutto, hanno attratto sin da piccolo la mia curiosità mista ad ammirazione, solitarie e svettanti rappresentavano la testimonianza di un'epoca oramai passata, remota se paragonata ad oggi, quando Molfetta era per tutto il Meridione esempio di progresso e sviluppo. Il cementificio si poteva e doveva salvare, poteva essere un primo passo verso la ripresa culturale della nostra città, i progetti c'erano, la volontà evidentemente no.
Certo, qualcuno avrà pensato che ironia della sorte il cemento per così tanti anni prodotto in quei forni sia stato la causa dell'abbattimento, ma dietro al cemento e agli interessi edilizi ci sono in realtà uomini piccoli piccoli, ancora più piccoli se paragonati all'austerità di quegli edifici.
Uomini indifferenti alla storia e alla bellezza del paesaggio, sensibili invece a beni ben più materiali, pronti sfruttare ogni genere di cavilli burocratici pur di cancellare in pochi giorni più di cento anni di storia. Piccoli uomini resi ancora più piccoli dal confronto con quegli uomini del passato che quegli edifici invece di abbatterli li avevano costruiti, piccoli da non sapere che nella vita è molto più semplice distruggere che costruire.
Forse pensano che Molfetta sia solo il Centro Storico, le antiche chiese e il Duomo con le sue torri, ignorano loro che di torri ce ne sono altre, antiche e moderne, dimenticate e saccheggiate. Sono, erano, le torri medioevali di difesa presenti nelle nostre campagne, hanno permesso che venissero inglobate da anonimi e brutti capannoni industriali; erano imponenti come torri anche le ciminiere del Cementificio Gallo, più moderne ma ugualmente cariche di significato non solo architettonico.
Adesso che ne sono rimaste in piedi solo altre due, mi chiedo quale sia il vuoto che pesi di più, quello lasciato dal loro abbattimento o quello degli animi di una città ormai indifferente all'ignoranza e alla violenza di tali scempi.
Lorenzo Pisani
Il vuoto è dentro tutti noi. Vedere una città senza regole, che dimentica anche la sua storia, ci amareggia. Il declino comincia dalla cultura. L'ignoranza diffusa della classe dirigente può fare più danni di un bombardamento sulla città.