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Caritas, progetti e speranze
15 dicembre 2006

Il 50% proviene dalla Romania, il 23,33% dalla Bulgaria, il 13,33% dall'Albania, il 6,67% dalla Georgia, il 3,33% non specifica il Paese di provenienza. Dai dati si palesa chiaramente che chi si rivolge allo sportello della Caritas è uno straniero, un immigrato. Ci capita, proprio mentre discutiamo di dati con il responsabile della Caritas, Mimmo Pisani, che una signora si faccia avanti in compagnia di due più timidi signori che le stanno dietro. Dal vestiario pensiamo provenga da un paese medio-orientale. Parla un italiano corretto. Versa parole fuori dalla bocca senza alcuna difficoltà, tradita però, da un accento che inciampa sulle s. Sta cercando un mediatore che porti il suo problema ai vertici comunali; apprendo che si tratta di difficoltà riguardanti i permessi per la sosta delle bancarelle che ormai da tempo si insediano, con dovuta autorizzazione, nei pressi del borgo. Va via rasserenata, salutando cordialmente. La Caritas è soprattutto questo, perlomeno oggi: ascolto. Così molti immigrati si rivolgono allo sportello per esporre i propri problemi, per cercare qualcuno che possa aiutarli nell'inserimento sociale e soprattutto in quello lavorativo. Molti degli stranieri presenti a Molfetta, infatti, abbandonano i propri Paesi d'origine alla ricerca di lavoro. Esemplare è l'esperienza condivisa da molte ragazze dell'Europa dell'est. Sfruttando il visto turistico, che concede la permanenza per un massimo di tre mesi in Italia, si precipitano alla ricerca di lavoro come badanti o colf, generalmente a nero, a causa delle limitazioni poste dal visto di cui dispongono. Il loro guadagno non sarà certo elevatissimo, ma se i viaggi “turistici” vengono ripetuti più di una volta, il compenso complessivo permette loro di ritornare in patria, sposarsi, comprare casa e costruirsi una famiglia e la propria vita. Esperienze che lasciano l'amaro in bocca se si pensa alla continua ricerca e all'accumulo di denaro cui siamo costretti dall'etica risparmiatrice, indotta dalle condizioni economiche nazionali. C'è gente che è disposta all'umiliazione di un lavoro mal retribuito (per noi) in vista di una vita dignitosa in patria. Insomma, Molfetta è “l'America” degli immigrati. Considerando che la Caritas agisce a livello diocesano, deve far fronte ad altre problematiche. Ad esempio, in concomitanza con la raccolta delle olive, nei territori di Terlizzi un ingente numero di immigrati è stata impiegata, più o meno regolarmente, nei campi. Le ristrettezze economiche, però, non permettono agli immigrati in questione di stabilirsi in una dimora fissa. Illegalmente, spinti da imperanti necessità fisiche, hanno deciso di stabilirsi nell'ex mobilificio abbandonato sito all'entrata di Terlizzi. Anche per far fronte a questa problematica riapre il centro d'accoglienza fondato da Don Tonino Bello il 9 febbraio 1989, e che porta oggi il suo nome. In tal modo all'attività di ascolto potrà accostarsi un azione materiale Questo l'impegno della Caritas per gli immigrati presenti a Molfetta. E per i suoi cittadini? Ormai a seguito dell'indulto una nuova fascia sociale fomenta nuova problematiche. Gli ex-detenuti scarcerati a seguito del suddetto provvedimento, rivendicano lavoro e un reinserimento sociale che li riscatti dalla vita passata. Le difficoltà nascono quando la fedina penale sporca diventa il pass per una vita normale: nessuno accetterebbe mai di assumere alle sue dipendenze un ex-detenuto. Così la Caritas ha ideato un progetto di reinserimento nella società: fondare una cooperativa che assuma come braccianti nelle terre molfettesi gli ex-detenuti. Il tempo svelerà la riuscita dell'iniziativa. Ammirabile l'azione della Caritas. E il Comune come risponde alle medesime questioni? Argomentazioni troppo insidiose di cui tratteremo nei numeri a seguire.
Autore: Alina Cormio
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