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Divario Nord-Sud al momento dell'unificazione
12 marzo 2006

II parte La tesi delle antiche radici storiche del divario tra Nord e Sud d'Italia è stata contestata per la prima volta negli anni '70 da due sociologi, A. Carlo e E. Capecelatro, che nel loro documentato saggio, Contro la questione meridionale, dimostrarono essere falsa l'immagine di un Mezzogiorno povero ed arretrato rispetto ad un Settentrione ricco e sviluppato. Di contro essi sostennero che il sottosviluppo del Sud fu la causa e allo stesso tempo anche l'effetto dello sviluppo del Nord. Di recente questa tesi è stata ripresa da G. Giarrizzo, che, nella sua monografia Mezzogiorno senza meridionalismo, sostiene che l'immagine di un Sud d'Italia come un blocco omogeneo di arretratezza economica e civile ha una genesi ideologica ed è stata alimentata dai governi della Destra storica per giustificare una linea politica estremamente dura ed autoritaria nei confronti di un Mezzogiorno in cui erano fortemente radicati gli orientamenti democratici. Da un punto di vista statistico, la tesi dell'inesistenza di un consistente divario all'atto dell'unificazione si avvale di due argomenti: il numero di addetti all'industria superiore al Sud rispetto al Nord in base ai censimenti del 1861 e del 1871; la presenza di ingenti capitali monetari grazie al tenue regime fiscale dei Borboni. Tale tesi è stata ridimensionata da G. Galasso, il quale, come abbiamo già ricordato, sostiene che l'alto numero di donne e bambini addetti ai lavori manifatturieri deve indurre gli studiosi a valutare con molta cautela il fenomeno dell'industrializzazione meridionale. Inoltre, se è vero che nel Mezzogiorno erano presenti alcune industrie particolarmente avanzate nei settori della metallurgia, della meccanica e del tessile, è anche vero che esse erano il frutto di investimenti stranieri attirati nel Regno borbonico da una politica economica fortemente protezionista. Ma tali iniziative non furono mai imitate da parte della borghesia meridionale, che in assenza di favorevoli occasioni di investimento preferì investire i propri capitali monetari nell'acquisto dei beni ecclesiastici e demaniali. In realtà, se all'atto dell'unificazioni le condizioni socio-economiche delle due aree del Paese non erano radicalmente divergenti, esse già differivano per le loro rispettive potenzialità di sviluppo. Mentre nel Nord si avviava lo sviluppo di un'agricoltura capitalistica, nel Sud, prevaleva, tranne ristrette aree, il latifondo feudale, caratterizzato dall'assenteismo dei proprietari, da una coltivazione estensiva e dalla parcellizzazione dei terreni coltivati sulla base di patti agrari vessatori e precari. Inoltre le infrastrutture erano del tutto inadeguate, si pensi, ad esempio che dei 2.500 chilometri di strade ferrante ben 1.600 erano concentrate nel solo Piemonte. Inoltre il Settentrione era ricco di risorse idriche atte alla produzione di energia elettrica, mentre il Meridione non lo era. Sulla base di questi dati, l'orientamento storiografico prevalente considera il divario tra le due Italie il frutto delle loro diverse condizioni di partenza piuttosto che risultato delle errate scelte governative dei governi della Destra storica. Salvatore Lucchese
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