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“Appaltopoli” e questione morale
15 novembre 2020

Com’è triste risvegliarsi un mattino col fastidioso rumore degli elicotteri non in funzione antincendio, ma anticorruzione, per controllare dall’alto un blitz della Guardia di Finanza al Comune di Molfetta con decine di uomini sguinzagliati negli uffici a sequestrare tutto: carte, computer, cellulari, hard disk, perfino pen drive. E’ avvenuto ancora a Molfetta e il ricordo è andato ai giorni grigi del recente passato quando scoppiarono lo scandalo edilizio che portò in carcere il dirigente dell’ufficio territorio e quello dei lavori del nuovo porto commerciale che coinvolse il sindaco dell’epoca, poi assolti. Non c’è da esultare al grido “arrivano i nostri”, come verrebbe la tentazione di fare, di fronte a presunte corruzioni, presunti appalti truccati o pilotati, di fronte all’azione della magistratura, ancora una volta chiamata a supplire la politica in genere per ristabilire la legalità, il rispetto delle regole e un’amministrazione corretta. Poi tutto, magari, finirà con una bolla di sapone, come è accaduto altre volte e la fiducia dei cittadini si incrinerà ancora e prevarrà un senso di rassegnazione: tanto non cambia nulla. Intanto i cittadini hanno il diritto di conoscere se ci sono state delle illegalità e, in caso positivo, pretendere la punizione dei presunti responsabili. La democrazia è fatta di trasparenza e se c’è l’ombra di un sospetto, è bene che sia chiarito, senza condanne preventive e fuori dei tribunali e senza assoluzioni frettolose. Non ci si può attribuire a prescindere la patente di onestà che, anche quando è fuori discussione, non esclude l’obbligo di vigilare su quella degli altri che fanno parte della stessa azienda, che in questo caso è un’amministrazione pubblica la quale opera, ricordiamolo, con la fiducia e i soldi dei cittadini. Fatte queste premesse e confermata la fiducia nel lavoro della magistratura e nella presunzione di innocenza delle persone coinvolte, alle quali auguriamo di dimostrare la loro estraneità alle accuse, non si possono ignorare alcune considerazioni politiche da parte di chi ha il compito di rappresentare l’opinione pubblica e di essere il cane da guardia del potere. L’informazione, che spesso si tenta di imbavagliare, ha questo compito, anche ingrato e scomodo, ma necessario alla salute della democrazia. In questa vicenda della cosiddetta “appaltopoli” locale, quello che lascia più interdetti, è il presunto connubio fra amministratori e dirigenti comunali, che, se fosse provato, sarebbe di una gravità estrema. Quest’amministrazione comunale che abbiamo definito “ciambotto” ormai rancido, dove c’è di tutto dai pesci di destra a quelli autodefinitisi di sinistra, ma con comportamenti da destra, a cosiddette liste civiche, che altro non sono che partiti personali di detentori di pacchetti di voti, disposti a spostarsi da un fronte all’altro in base alle convenienze politiche. Le parole “liste civiche” o “progetto civico” sono le foglie di fico di un trasformismo politico e di interessi, utile solo a ingannare gli elettori che in buona fede ci credono e quelli che in mala fede pensano di trarre qualche vantaggio. Troppo semplice e immediato trovare nell’assessore Mariano Caputo il capro espiatorio di tutta la vicenda, farlo dimettere subito buttando fuori dalla pentola il pesce guasto anche se il ciambotto è ormai irrancidito. Il sindaco conferma la sua ineccepibile attività pubblica quarantennale e tutto continua come prima. Pur non mettendo in dubbio il comportamento e l’onestà di Minervini, pur lasciando ai giudici il tempo di fare il loro lavoro, non è possibile passare sotto silenzio una vicenda che sta turbando profondamente la città, la cui gestione basata essenzialmente sull’incremento delle opere pubbliche e dell’edilizia (che abbiamo sempre definito il cancro di questa città e oggi ne abbiamo una ulteriore prova) è vecchia di 50 anni, un superato modo di amministrare, altro che nuove officine di idee per confondere la testa alla gente, perché di nuovo non c’è poco o nulla, mentre c’è tanto di vecchio e stantio. Aggregare un’amministrazione Frankenstein come la definisce l’ex sindaco Paola Natalicchio, non è simbolo di “progetto civico”, ma di armata brancaleone, dove per tenere insieme un gruppo eterogeneo, è necessario accontentare tutti a danno della qualità e dell’efficienza amministrativa, come dimostrano i cantieri perenni, speso inutili e costosi, che porteranno solo all’indebitamento futuro della città e al rischio di default, che andiamo ripetendo da tempo, come inascoltate Cassandre. E’ questo il significato dell’enigmatico “principio di realtà”, infelice slogan elettorale di Saverio Tammacco alle ultime regionali? Il sindaco mette insieme in un comunicato le dimissioni di Caputo con le misure anti Covid, quasi a sfuggire l’argomento dei riflessi politici dell’indagine della magistratura per l’emergenza sanitaria. L’espulsione di Caputo (del quale non è stata ancora provata la responsabilità) come un virus, non guarisce dalla pandemia politica mentre i partiti di opposizione oggi chiedono le dimissioni dell’intera giunta e del sindaco, oppure l’intervento del prefetto per lo scioglimento del consiglio comunale. Una misura che sembra eccessiva, ma che fa riflettere sulla questione morale, che proprio il sindaco nella sua ineccepibile attività politica deve porre subito sul tappeto. Altrimenti definizioni come “Molfetta positiva” o “città smart” si dimostreranno ancora di più concetti vuoti e lontani da quella realtà che si ha solo la pretesa di rappresentare. In questo scenario un po’ fosco si inserisce il Partito democratico, che conferma ancora una volta di essere anch’esso una lista civica legata a questo o quel personaggio e lontana dai suoi iscritti e dai suoi elettori (quelli che ancora riescono a sostenerlo turandosi il naso). Di fronte alla giravolta del candidato alla Regione e dell’amministrazione comunale che hanno tradito Emiliano sul filo di lana, non si può stare con due piedi in una scarpa, occorre prendere posizione, altrimenti si è conniventi. E il silenzio di Nicola Piergiovanni, presidente del consiglio, Gianni Facchini consigliere dell’area metropolitana e Gabriella Azzollini, assessore nella giunta Minervini, è assordante e più eloquente di tante parole. L’attaccamento alla poltrona viene prima della dignità politica? E con grande faccia di bronzo, dopo aver ignorato il cambiamento di fronte (forse si aspetta che Tammacco ritorni con Emiliano?) dell’amministrazione comunale, ora si vuole ignorare pure la vicenda dei presunti appalti truccati. Il Pd si limita a un sibillino e machiavellico comunicato, molto democristiano e poco di sinistra, col quale dichiara che l’unico consesso nel quale si può discutere “dei gravi fenomeni di illegalità”, è il consiglio comunale. Nell’esprimere “viva preoccupazione” per un fenomeno che “se accertato” “offenderebbe e lederebbe non solo la città e i cittadini, ma gli stessi amministratori onesti e la loro dignità”. Parlare di dignità politica, ci sembra proprio fuori di luogo per chi ha avuto i comportamenti ignavi nelle elezioni regionali. E il PD arriva anche a citare la “questione morale”, argomento del quale, a suo parere, si può parlare solo in consiglio comunale? E nel comunicato, sempre più confuso, si aggiunge che si ritiene “opportuno e necessario che i cittadini siano messi nelle condizioni di conoscere i fatti e discernere correttamente eventuali responsabilità dei singoli, senza coinvolgere l’intera Amministrazione Comunale (e quindi le loro poltrone, ndr) che, sin d’ora, dovrebbe prendere le distanze dai fatti, azioni e responsabilità personali”. In buona sostanza, buttiamo a mare Caputo e continuiamo come se nulla fosse accaduto. Peggio di così, camaleonticamente, non si può, pur di salvare un ciambotto irrancidito! © Riproduzione riservata

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