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All’Aneb di Molfetta ricordati i 100 anni dalla morte di Giacomo Puccini
Michele Laudadio e Tonino Ragno
07 dicembre 2024
MOLFETTA
- L’Aneb (Associazione educatori benemeriti) di Molfetta ha ricordato il centesimo anniversario dalla morte di Puccini con la conferenza “Giacomo Puccini 100”. Il Presidente, prof. Michele Laudadio ha presentato la serata: il relatore, prof. Tonino Ragno, esperto e studioso di Giacomo Puccini con sua figlia Tiziana che lo accompagna nella parte tecnica e le due voci attoriali, Daniela Germinario e Giorgia Gadaleta. L’analisi del prof. Ragno delinea con chiarezza, attraverso foto e filmati d’epoca, locandine originali delle opere liriche, pezzi d’opera, documenti e pagine di diario, la personalità del grande musicista e la sua modernità che ne fa un antesignano di artisti illustri, noti per la spregiudicatezza delle loro soluzioni musicali da Debussy a Stravinskij, da Gershwin ad Hamilton, a Ravel. Anche i musicisti contemporanei, come i Beatles, Bob Dylan, i Rolling Stones, Johon Lennon risentono degli accenti insoliti della musica di Puccini e ne sono influenzati. Puccini può definirsi nostro contemporaneo perché non rimane legato al passato, ma cerca soluzioni innovative, attraverso una ricerca che lo porta a staccarsi da Giuseppe Verdi e ad elaborare un flusso musicale armonioso e teso di tipo wagneriano, tuttavia senza eccessi, tale da poter coinvolgere e appassionare lo spettatore. Nato a Lucca (1858-1924), orfano di padre, anche lui musicista, viene avviato con grandi sacrifici dalla madre agli studi musicali. Studente dotato, ma non convenzionale, dopo una fase di incertezze, capisce qual è la strada da intraprendere dopo aver ascoltato l’ “Aida” di Giuseppe Verdi: sarà compositore, ma solo per il teatro. Si trasferisce a Milano dove perfeziona i suoi studi nel Conservatorio più importante d’Italia e dove c’è il teatro più prestigioso, il teatro Alla Scala. Nei confronti della città esprimere un giudizio ambivalente: offre grandi opportunità per i musicisti, ma è una città fetida, abietta, il cui Duomo viene paragonato ad un panettone sgonfio ed ammuffito e il cibo è disgustoso. L’ambivalenza caratterizza anche la personalità del compositore: gentile, modesto, dai modi schietti e cordiali, propenso agli scherzi, alla scurrilità e alla goliardia ma in grado anche di percepire i più raffinati impulsi del cuore. In lui convivono i tratti di un temperamento gioviale con un’incredibile timidezza ed una sensibilità quasi femminea. Tombeur de femmes, amante del lusso, delle belle auto, sa anche come toccare le corde più intime dell’animo, come “prendere per i capelli” gli spettatori, coinvolgendoli fino al pianto. Come avviene questa magia? Puccini trasforma il linguaggio musicale tradizionale, introducendo nuovi accordi ed armonie e fa sì che la musica non sia solo un accompagnamento al canto, ma essa stessa personaggio, protagonista della storia. Basti pensare al suono parossistico dei violini in certe sue opere o al suono delle campane che si intreccia a quello degli altri strumenti musicali nella “Norma”. La musica viene portata sulla scena e diventa teatro musicato, non melodramma ma drammaturgia. La preponderanza dell’aspetto musicale nelle sue opere fa sì che l’artista intervenga e partecipi alla stesura dei libretti, ma il lavoro procede lentamente e a stento, fra liti, discussioni e minacce di dimissioni dei librettisti. Infatti la “Manon Lescaut” non reca i nomi dei librettisti che furono diversi, fra cui lo stesso Puccini. Infine una buona collaborazione si instaura con Illica e Giacosa che rappresentano un’avanguardia, ispirata alla Scapigliatura milanese, movimento culturale e letterario di metà Ottocento, critico dei virtuosismi sdolcinati e più attento alla realtà delle situazioni e dei sentimenti. A loro si devono i testi di “La bohème”, “Tosca”, “Madama Butterfly” dove il linguaggio si fa più aperto, vivo, immediato, in una parola moderno. Puccini è noto come creatore di melodie struggenti che vedono protagoniste donne coinvolte in amori impossibili e maledetti. Manon Lescaut, Mimì, Cio Cio San, Tosca sono donne che soffrono e muoiono per amore, donne volitive sì, ma fragili nella sostanza rispetto al sentimento che provano nei confronti dell’uomo amato. In chiave psicanalitica “nel teatro pucciniano il rapporto amoroso è visto come alienazione dell’altro, sicché l’uccisione metaforica del maschio si riverbera sulla donna che finisce col voler essere annientata”. Turandot rappresenta un ribaltamento rispetto a questa prospettiva: Puccini elabora per questa metamorfosi amorosa una grande varietà di melodie, ma non riesce a trovare il finale. La gelida e sanguinaria principessa non si lascia coinvolgere dall’amore di Calaf, vuole rimanere pura, libera, incontaminata. Non è dato di sapere se Puccini voleva che l’opera “Turandot” terminasse così, nella sua incompiuta compiutezza, con il trionfo di una donna padrona di sé e del suo destino. Una cosa è certa: il 25 aprile 1926 nel teatro Alla Scala di Milano il maestro Toscanini che dirigeva la rappresentazione postuma della “Turandot” si fermò a metà del terzo atto, là dove l’aveva lasciata il Maestro, morto il 29 novembre del 1924 per un tumore alla gola. La conferenza ha offerto una chiave di lettura alternativa della vita e delle opere del grande compositore, grazie anche a citazioni di illustri critici della Storia della Musica e al contributo delle voci attoriali. I giovani attori hanno letto con coinvolgimento ed espressività, significativi passi documentali sulla vita del Maestro, evidenziandone la sensibilità ed il rapporto complesso con la moglie Elvira, stanca dei lunghi periodi di lontananza è delle infedeltà reali e presunte di Puccini.
Maddalena Azzollini
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