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Una prima analisi del voto. La crisi della destra a Molfetta, le sfide delle prossime due settimane
Lillino Drago e Tommaso Minervini
14 giugno 2022

MOLFETTA - Tommaso al ballottaggio. Già questa è una notizia, visto che il sindaco uscente aveva ben 11 liste a suo supporto, e la vittoria al primo turno sarebbe stata assai probabile. Ma che qualcosa si fosse rotto era nell’aria, nei giorni scorsi. Non basta mettere insieme centinaia di candidati, se il progetto inizia a non funzionare.

Certo, il risultato ottenuto da Minervini è comunque importante, e Lillino Drago si trova, nelle prossime due settimane, a dover scalare una montagna. Proviamo a formulare qualche prima considerazione, in attesa di poterci esprimere più nello specifico sul confronto fra i due candidati, che avverrà nei prossimi giorni.

Il primo dato che emerge è la crisi della destra a Molfetta, in corso da almeno 5 anni. La avevamo annunciata a tempo debito, con la caduta di Azzollini (https://www.quindici-molfetta.it/la-caduta-del-sovrano-si-chiude-l-era-azzollini-a-molfetta_41578.aspx), probabilmente non è stata ancora colta in tutta la sua portata. Dopo la sconfitta di Isa de Bari 5 anni fa, Pietro Mastropasqua non riesce questa volta neanche ad accedere al ballottaggio. Tommaso Minervini ha completamente colonizzato quell’area, che adesso deve ritrovare una propria identità. Per fare questo, la presenza di Azzollini come “garante” non basta più: è necessario trovare un nuovo lessico e nuove progettualità, radicalmente alternative a Minervini.

Tornando al ballottaggio, l’impresa che si prospetta, per Drago, è difficile ma non impossibile. La volta scorsa Tommaso Minervini aveva intercettato anche un’istanza di rinnovamento di un pezzo dell’area progressista, che voleva eliminare per sempre l’ombra di Azzollini da Molfetta. Adesso Minervini non potrà più contare su quell’area, avendo mostrato il vero volto del suo progetto: in questi cinque anni, ha inglobato tutti i pezzi di quella vecchia politica “barbarica” (come lui stesso la definì) a cui diceva di opporsi, attuando un modello di decisione da “apparato” (per usare un’altra delle sue espressioni), che ha del tutto fatto fuori quella dimensione collettiva che diceva di voler valorizzare.

Una prima condizione fondamentale, per Drago, è allora quella di uscire dalla logica del calcolo elettorale per intercettare energie e speranze nuove, che al primo turno erano rimaste sopite. È già successo una volta, nel 2013 con Paola Natalicchio: è forse il lavoro più difficile, ma l’unico che consente di sfondare il perimetro canonico delle preferenze, per creare un entusiasmo inedito, che possa espandersi come un’onda.

Per fare questo è necessario affermare con forza che un’amministrazione può non ridursi alla mera gestione dell’esistente, ma può essere all’origine del cambiamento, intercettando forze e istanze sociali. Quello che accadde, con Paola Natalicchio, fu, in quelle fatidiche due settimane, l’esplosione di energie nuove, “dal basso”. Furono le stesse che nei mesi immediatamente successivi diedero vita a comitati di quartiere, forum, esperienze di partecipazione e di cittadinanza attiva. L’evoluzione di quell’esperienza non è stata quella sperata, ma la direzione, almeno all’inizio, era quella giusta.

Per fare questo è necessario abbattere gli idoli, ribadire che i cambiamenti si fanno grazie alle decisioni delle persone che si organizzano e progettano in maniera condivisa l’esistente. Rispetto al 2013, su questo fronte, in tutta Italia sono stati fatti enormi passi avanti. La proliferazione dei “patti di collaborazione” fra cittadini attivi e amministrazioni, le esperienze di commoning (anche nella progettazione dello sviluppo locale. Basti pensare al fenomeno delle imprese di comunità: https://euricse.eu/it/publications/imprese-di-comunita-e-beni-comuni-un-fenomeno-in-evoluzione/), il fiorire del neomutualismo, indicano un orizzonte a cui guardare. Da ultimo, la riforma del Terzo settore, e l’introduzione, con l’art.55 del nuovo Codice, della possibilità di co-programmare le politiche pubbliche e di co-progettare servizi e interventi diretti alla collettività. È la rottura definitiva con l’idea verticistica della politica e la consacrazione di un’idea “partecipata” di realizzazione dell’interesse generale, in cui formazioni sociali e pubblico possano collaborare “alla pari” ( https://www.rivistaimpresasociale.it/forum/articolo/amministrazione-condivisa-e-democrazia).

Queste esperienze imboccano una direzione precisa, a cui probabilmente la coalizione di Drago dovrà guardare. Lo sviluppo locale non è un affare connesso esclusivamente con le leggi di mercato, che le amministrazioni devono limitarsi ad agevolare. La coprogettazione, così come il welfare e le politiche sociali, non sono un elemento accessorio, ancillare rispetto alle leggi del mercato. Piuttosto, esse possono determinare il futuro di una comunità, condizionando le logiche dello sviluppo alla decisione collettiva circa gli elementi della vita in comune. Non esistono imperativi categorici, ci sono tanti modelli di sviluppo possibile, che devono maturare grazie al confronto e alla mediazione. Il sociale, insomma, può essere motore della programmazione politica, e non va condannato a variabile dipendente delle decisioni “importanti”, quelle che si prendono altrove e secondo altre logiche. Tra l’altro, se c’è oggi un ambito in cui i comuni possono davvero dire la loro, è proprio quello delle politiche sociali e del welfare locale.

Può, forse, essere questo un terreno di dialogo con l’area di Giovanni Infante, che ha ottenuto un risultato più che dignitoso, affermando innanzitutto la propria radicale opposizione all’idea di politica di Michele Emiliano.

Oggi l’area di Drago è, probabilmente, di fronte a un bivio. Può assecondare, nelle prossime due settimane, il modo di fare politica di Emiliano, che è lo stesso di Tommaso, il quale, però, sa fare bene quel gioco. Sa come si media fra le parti politiche, conosce bene la logica della gestione dell’esistente, padroneggia il modello “pattizio”, degli accordi e delle promesse, forse ancora meglio della macchina amministrativa, che pure maneggia benissimo. Oppure può scommettere sull’ignoto, facendo appello alla forza della cittadinanza attiva, alla sua capacità di innovare l’esistente, creando nuove istituzioni. Perché solo gettandosi nel vuoto in maniera coraggiosa, creando un nuovo orizzonte, staccandosi definitivamente da quello costruito in questi anni da Tommaso Minervini, si può dare un futuro nuovo a Molfetta.

© Riproduzione riservata

Autore: Giacomo Pisani
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