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Tempo di Natale La speranza di un futuro di pace
15 dicembre 2023

Sulla nascita di Cristo si affaccia l’incubo di Erode, e il Bambino, per non finire sotto la spada che elimina i neonati di Betlemme, si allinea coi suoi genitori nella fila interminabile dei profughi. Un bambino, fracasso di ruote, cigolio di carri, stelle filanti nel cielo, deflagranti scoppi di bombe, cavalieri mimeticocalzanti, scintillare di lance, feriti in quantità, cumuli di morti, cadaveri senza fine, s’inciampa nei cadaveri. E le parole di Curzio Malaparte fin dal Natale del 1954: «Tra pochi giorni è Natale e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia. Perché nessuno ha il coraggio di dirsi che il secolo, che il mondo, non è mai stato così poco cristiano come in questi anni? Perché nessuno di noi osa riconoscere che la magniloquenza degli uomini politici, la grande parata dei sentimenti evangelici, le processioni dei falsi devoti servono soltanto a nascondere questa terribile verità: che gli uomini non sono più cristiani, che Cristo è morto nell’anima dei suoi figli, che l’ipocrisia è discesa dalla politica fin nella vita sociale, familiare, e individuale? Non ci importa nulla di chi soffre; non facciamo nulla per impedire la sofferenza, la miseria, il male, il delitto, la violenza, la strage...». Quanti di noi, nel nostro piccolo, s’avvieranno verso la chiesa, spandendo baci e auguri di bene, di amore e di pace ma, nel fondo del cuore, sotto il mantello delle buone forme, delle belle parole e dei pii sentimenti conserveranno ben carica l’arma dell’egoismo, dell’astio, della cattiveria contro qualche nostro fratello? Si intitolano in “Natale 1987” (“Parole dipinte” - Libreria Leoniana 1989) i versi di un poeta un po’ appartato, ma dotato di una intensa spiritualità; Giovanni Angelo Abbo (1911-1994): “Travestiti da pastori / o scorta volontaria dei Re Magi / andiamo a Betlemme cianciando d’amore e di pace, / comunque nascondendo / sotto il mantello di ogni evenienza / un kalashnikov ben oliato”. Drammaticamente veri per la Betlemme geografica questi versi, ma anche così veri per tutte le altre Betlemme, da Israele all’Ucraina da Gaza al Donbass. Scene di persone che nel mondo d’Occidente, in Europa, in Italia, avanzano, proclamando parole di pace ma che, sotto il mantello, stringono vigorosamente il fucile mitragliatore da consegnare ai soldati per fare la guerra e dare la morte. È Natale ma c’è sempre la guerra. Non è certo questo il Natale di Cristo. Un altro Natale? Sono le due del mattino, e la maggior parte degli uomini dorme nelle buche. Gli scontri di queste settimane hanno fatto tanti morti che entrambe le parti si sono trincerate in attesa dei rincalzi. Tutti hanno deciso di rimanere nelle trincee ad aspettare. Una attesa tremenda! Ogni momento, un proiettile di obice può cadere addosso, ammazzando o mutilando, e di giorno non si osa alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. E poi la pioggia: cade quasi ogni giorno e con la pioggia il fango, profondo. S’appiccica e sporca tutto, risucchia gli scarponi. I soldati tedeschi di fronte noi soldati inglesi. La trincea che sta di fronte è ad appena cinquanta metri. Nel mezzo la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato. All’improvviso, quando scende la sera, non si sente più sparare. Sono mesi che non c’è questo tipo di silenzio totale. Di colpo, un soldato, che ha con cautela alzato la testa, scuote quello vicino a lui: “Vieni, – gli grida – vieni a vedere! Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi!”. L’altro alza la testa sopra i sacchetti di sabbia. Il fucile gli cade dalle mani e rimane a bocca aperta. Non crede ai suoi occhi. Grappoli di piccole luci brillano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. “Ma che cos’è?” chiede al compagno vicino, anche lui in preda allo stupore. “Alberi di Natale!”, mormora. “Ma hai dimenticato?… stasera è la vigilia di Natale”. Risponde il secondo. È vero. I tedeschi hanno disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini. E poi a un certo punto si sentono le loro voci che si levano in una canzone. Cantano! “Stille nacht, heilige nacht”. Molti soldati inglesi lo conoscono quel canto, si passano la voce, qualcuno di loro inizia a sussurrare: “Silent night, holy night”. Subito dopo, vicino alle buche, si sentono delle voci dall’accento inconfondibile. Molti tendono le orecchie, rimangono in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la linea un saluto mai sentito in questa guerra: “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”. “Non ho mai sentito un canto più bello e più significativo in quella notte chiara e silenziosa”, dirà uno dei soldati inglesi in una lettera. “Quando il canto è finito gli uomini nella nostra trincea hanno applaudito. Sì, soldati inglesi che applaudivano i tedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare e ci siamo tutti uniti a lui: The First Nowell the Angel did say. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi con le loro belle armonie. Hanno risposto con applausi entusiasti e poi ne hanno attaccato un’altra Tannenbaum o Tannenbaum a cui noi abbiamo risposto O Came All Ye Faithfull e, questa volta, si sono uniti al nostro coro, cantando la stessa canzone ma in latino Adeste fideles. Inglesi e tedeschi che intonano canti di Natale in coro attraverso la terra di nessuno! Non potevo pensare niente di più stupefacente, ma quello che è avvenuto dopo lo è stato di più. “Inglesi, uscite!” li abbiamo sentiti gridare “voi non spara, noi non spara!”. È il 1914, primo anno della prima guerra mondiale. Belgio, trincee della Fiandre, Saliente di Ypres, settore del fronte occidentale. La guerra mondiale scoppiata nella precedente estate sta inchiodando i soldati nelle trincee. I combattimenti sono durissimi e costano cifre impronunciabili in termini di morti e feriti. Inglesi, francesi e belgi sfidano le mitragliatrici tedesche. All’ordine del giorno è la lotta corpo a corpo, masse di uomini lanciate contro fili spinati nemici per conquistare pochissimi metri di terreno che, al successivo assalto, sono spesso nuovamente perduti. Poi arriva la notte di Natale. Tutto questo odio, tutto questo spararsi a vicenda, che è andato crescendo dall’inizio della guerra, si è spento e si è fermato a causa della magia del Natale. È una grande speranza per un futuro di pace, se due grandi nazioni che si odiano come i nemici raramente si sono odiati, giurandosi eterno odio e vendetta, affidando la loro vendetta alla musica nel giorno di Natale, per tutto quello che questa parola significa, possono abbassare le mani, scambiarsi tabacco, ed augurarsi felicità a vicenda”. Nei mesi e negli anni che seguirono la tregua di Natale del 1914, molti dei protagonisti di questi fatti straordinari sarebbero stati uccisi, insieme a centinaia di migliaia dei loro compagni, nel più sanguinoso conflitto fino ad allora registrato dalla storia. Forse, la tregua di Natale fu possibile solo perché la perdita di umanità non aveva ancora fatto presa nelle loro anime: la memoria del Natale di Cristo aveva aperto uno spazio nei loro cuori. Perché proprio quel Cristo, nato in quelle trincee, aveva indicato la scelta radicale dell’amore. Quello per il nemico, così da trasformare quasi l’hostis in hospes e da introdurre il principio della non-violenza: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano » (Matteo 5,43-44). Buon Natale ucraini, Buon Natale russi, Buon Natale israeliani, Buon Natale palestinesi. © Riproduzione riservata

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