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Saggi di cultura arte e spiritualità Giubileo 2025
15 dicembre 2024

Il motivo per il quale il cristianesimo dia tanta importanza a un elemento architettonico quale la porta, attribuendo ad essa un significato trascendente, lo si trova nel Vangelo. Gesù, per indicare come si accede al Regno di Dio, disse: “In verità in verità vi dico: Io sono la porta” (Gv 10,7). Questa rivelazione ha condotto il credente a un nuovo mondo dall’aspetto cosmologico, teologico e mistico. Per varcare la porta, Cristo stesso, è necessario vedere se esiste un passaggio, se questo deve essere forzato per entrare, se l’accoglienza è per pochi o per tutti, se queste porte spalancate possono essere le porte della grazia. Quando i pontefici hanno voluto rac- 1. in Roma 1300-1875. L’arte degli anni santi, catalogo della mostra a cura di Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1984, pp. 58-62. Il saggio originale, molto tecnico e con numerose citazioni medioevali in lingua latina, è stato modificato per rendere più agevole la lettura; il nuovo testo contiene anche delle aggiunte, ritenute utili per i lettori. chiudere in un giubileo il mistero di Dio e della sua misericordia in una porta da aprire hanno espresso un desiderio che ha una sua sacralità, perché non si tratta di varcare la soglia di una chiesa, ma di abbandonare l’uomo vecchio per l’uomo nuovo. Pertanto, la porta prende valore di simbolo, di legame, di speranza. La cura e il suo decoro acquistano importanza. Si apprende da un natale di san Paolino da Nola (Bordeaux, 355-Nola, 22.06.431) che le porte della basilica di San Felice erano adorne: “aurea nunc niveis ornantur limina velis: ora vorresti che le soglie si ornassero di neve dorata” (Poema XIV, v. 98) e in un altro poema: “Vela ferant foribus, seu puro splendida lino / Siue coloratis textum fucata figuris: Le porte dovrebbero portare veli, o lino puro e splendente / o tessuto colorato con figure dipinte” (Poema XVIII, v. 31-32). Il Liber pontificalis riferisce che il papa campano Onorio I (625-638): “investivit regias januas in ingressu ecclesiae [Vaticanae] majores, quae appellantur medianae ex argento quae pensant libras noningentas septuaginta quinque: fregiò le porte reali all’ingresso della chiesa maggiore [Vaticana], denominate mediane a motivo dell’argento, dal peso di novecento settantacinque libbre” (Duchesne, p. 323, 119.II). Secondo il costume dell’epoca, l’indicazione del peso del metallo stava a significare il valore e la considerazione che si dava alle porte. Porte importanti che il papa sardo Ilario (461-468), più di un secolo prima – annota il medesimo Liber – aveva fornito al Battistero della basilica costantiniana al Laterano “ianuas aereas argentoclusas: porte d’argento ariose per la chiusura” (Duchesne 1886, I, p. 242, 69.II) per i due Oratori di S. Giovanni Battista e di S. Giovanni Evangelista; nonché altre porte per l’Oratorio della Santa Croce “ianuas pensant libras L.: porte dal peso di cinquanta libbre” (Duchesne ,1886, I, p. 242, 69.III). Le porte, previste inizialmente come barriera per impedire agli indiscreti d’introdursi nelle assemblee cristiane (venne creato per la loro custodia un personale specializzato, gli ostiarii), passarono dalla preziosità della decorazione e dallo splendore della magnificenza alla nobiltà del simbolismo. Le si copriva di fiori e di ghirlande: “Spargite flore solum, praetexite limina sertis: Spargete fiori sulla soglia, ornate le entrate di serti” (figg. 1-2). Nelle chiese d’Oriente e d’Occidente gli archi trionfali, sorti per introdurre all’area sacrale, segnando ovviamente il limite del templon, mostrano nell’intradosso una decorazione di carattere floreale. Il papa romano Sisto III (432-440) la pone anch’egli nell’arco trionfale della basilica di S. Maria Maggiore e fa eseguire un ciclo musivo, nel quale consegna un elaborato programma iconografico riguardante l’accesso al regno dei cieli. L’apostolo Pietro è coinvolto, perché pietra fondamentale per l’incontro con il Signore della gloria (fig. 3). Sisto III, prima ancora di passare alla decorazione dell’arco, aveva scritto al patriarca Giovanni di Antiochia: “Beatus Petrus apostolus in succesoribus suis quod accepit, hoc tradit: Nei suoi successori, il beato Pietro apostolo ciò che ha ricevuto [da Gesù], questo ha trasmesso” (Ep. a Giovanni di Antiochia, Coll. Veronensis, 31, ed. Schwartz, p. 109), ben consapevole di ciò che gli è stato affidato da Gesù: conferma “i tuoi fratelli” nell’unità e nella pace (Lc 22,32). In S. Maria Maggiore il vescovo di Roma consegna un documento storico e teologico, che esalta l’avvenuta pace, di cui è stato artefice, tra il patriarca di Antiochia e il patriarca Cirillo di Alessandria, principali attori del Concilio di Efeso. Se è interessante seguire l’intero ciclo del mosaico (P. Amato, Joseph, époux de Marie, dans l’Arc Triomphal di Sainte Marie majeure à Rome - Étude Iconologique, in: «Bulletin de l’Association Internationale pour l’Étude de la Mosaïque Antique», A.I.E.M.A., n. 8/1980, pp. 105-111), qui è ancora più interessante esaminare il registro superiore dell’arco di trionfo, a motivo del clipeo con l’immagine dell’etimasia (dal greco “preparazione”), simbolo escatologico. L’iconografia dell’etimasia mostra un trono vuoto preparato per la venuta del Cristo nel giorno del giudizio. Nella basilica di S. Maria Maggiore, il trono ha sul cuscino il mantello e il diadema; sul suppedaneo, il rotolo dei sette sigilli; in avanti, pende una croce gemmata. Affiancano il trono le figure stanti e acclamanti degli apostoli Pietro e Paolo, i cui ritratti ritornano nella struttura del trono in due clipei, significativi a esaltare l’importanza del primato della Chiesa di Roma (fig. 4). La duplice rappresentazione dei due apostoli romani è un unicum iconografico, mai osservato prima nel suo significato pregnante di documentazione in arte (sec. V) sulla missio della Chiesa romana, la prima delle Chiese, la Mater et Caput Ecclesiarum (P. Amato, De vera effigie Mariae. Antiche icone romane, Roma, Basilica di S. Maria Maggiore, 18 giugno-3 luglio 1988, Arnoldo Mondadori Editori-De Luca Edizioni d’Arte, Roma 1988, pp. 13-16). Pietro si relaziona con l’Ecclesia ex circumcisiofifig. 2 - Basilica di Santa Maria Maggiore, Porta Santa fifig. 3 - Imbotte flfloreale con il monogramma di Cristo al centro e in linea con l’Etimasia affiffiancata dall’acclamazione degli apostoli Pietro e Paolo ne (la Chiesa proveniente dai circoncisi, cioè dal popolo ebraico); Paolo con l’Ecclesia ex gentibus (la Chiesa proveniente dai pagani). Un’iscrizione, Xystus Episcopi plebi Dei (il vescovo Sisto al popolo di Dio), dedica l’arco della chiesa (ingresso trionfale nel sancta sanctorum), luogo riservato all’incontro del popolo con il suo Dio e creato per la liturgia della Parola e dell’Eucaristia (fig. 3). Lo spirito intorno al quale gravita la Porta santa, la porta d’oro dell’anno d’oro (L. von Pastor, I, p. 383), è presente nella meraviglia dei simboli medioevali assegnati alla porta d’oro, detta significativamente porta reale, perché introduce al santuario. Nelle Chiese di Oriente, a motivo dell’esposizione delle icone, questa porta era denominata iconostasi; svolgeva, come ancora oggi, oltre al compito promozionale della devozione, quello originale di barriera tra la navata e il santuario. Per i liturgisti, il santuario (sancta sanctorum) è lo spazio destinato alla liturgia celeste, la quale costruisce il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa, e l’avvia verso la santa Gerusalemme. Se l’edificio “chiesa è il cielo sulla terra, in cui Dio, che è al di sopra dei cieli, è presente e agisce”, il santuario è “il propiziatorio e il santo dei santi” (Germano, p. 38, coll. 384d-385a). La porta, immagine e figura della porta del cielo, a seconda delle circostanze liturgiche, nasconde e manifesta le epifanie salvifiche. La “liturgia eucaristica” che si svolge nel santuario è a un tempo riconoscimento e lode al mistero dell’incarnazione, traduce in memoriale la morte e la resurrezione, salva coloro che vi partecipano. L’uomo pellegrino sulla terra chiede l’ammissione alla cittadinanza celeste con la Deesis, la preghiera liturgica che la Chiesa rivolge per ottenere la vita eterna. Sull’architrave della facciata romanica della cattedrale di Troia, i cristiani dell’epoca hanno indicato, attraverso un’invocazione, il senso del loro ingresso nella chiesa: “Istius ecclesiae per portam materialis / introitus nobis tribuatur spiritualis: Per varcare la soglia della porta celeste è necessario passare da quella terrestre”. Non c’è salvezza se non nella chiesa, la fons indulgentiarum: è lì che la misericordia del Redentore, l’intercessione della Vergine (la prima creatura umana in cielo, in corpo e anima), le chiavi di san Pietro che aprono e chiudono le porte, gli angeli e i santi protettori, attendono alle aspirazioni più profonde del credente. La letteratura storica unita all’iconografia nel celebrare la Porta giubilare pongono in evidenza alcuni aspetti di carattere mistico, liturgico ed ecclesiale, provenienti dal cerimoniale tradizionale; delineano alcune costanti. Nell’Anno Santo del 1500, indetto da papa Alessandro VI Borgia (1492-1503) [successe a Innocenzo VIII Cibo, vescovo di Molfetta e per questo denominato in Curia il cardinale di Molfetta], il Liber notarum di Burcardo descrive il cerimoniale e formula tre capitoli: 1. La indizione del Giubileo (Indictio Iubilaei) 2. Le condizioni dell’indulgenze (De conditionibus indulgentiarum) 3. Il tesoro dei meriti nella Chiesa (De thesauro meritorum in Ecclesia) 1. Indictio Iubilaei A stabilire e indire il giubileo è il Papa, il “claviger regni coelorum, primogenitus clavigerorum”: clavigero del regno dei cieli, primogenito dei clavigeri (E. Borgia, Vaticana Confessio beati Petri chronologicis testimoniis inlustrata, Roma 1776, p. 118). Questo credo ecclesiologico trova ampia rappresentazione nelle medaglie commemorative, le quali associano alla figura di Pietro quella di Paolo (DACL, XIV, coll. 939-940) e presentano l’episodio del Cristo che consegna le chiavi all’apostolo Pietro, colui che è stato il primo vescovo di Roma. L’evangelista Matteo racconta la confessione di Pietro: “Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché – dice Gesù – non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli” e la proclamazione a fondamento della Chiesa: “Ed io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa et tibi dabo claves regni coelorum, et quodcumque ligaveris super terram erit solutum et in coelis et quodcumque solveris super terram erit solutum et in coelis”: e a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli (Mt 16, 19). Gli antichi testi liturgici, come il Missale goticum e il Sacramentarium gallicanum, non mancano di fare allusione a questo passo del Vangelo. “Deum, qui beato Petro tantam potestatem discipulo contulit: ut si ipse ligaverit, non sit alter qui solverit: et quae in terra solverit, idem coelo soluta sint: precibus imploremus: ut eductis a tartaro defunctorum spiritibus, non praevaleant sepultis infernae portae per crimina; quas per apostoli fidem vinci credit Ecclesia. Per Dominum”: Supplichiamo il Signore, che ha dato al beato discepolo Pietro tanta potestà: che se egli avrà legato, non ci sia altro che sciolga e che se avrà sciolto in terra sarà sciolto anche in cielo, affinché portati fuori dal tartaro gli spiriti dei defunti, non possano per i crimini prevalere le porte dell’inferno, che la Chiesa crede vinte attraverso la fede dell’apostolo (L. Muratori, Liturgia romana vetus 1748, t. II, p. 564) L’attributo del potere dell’Apostolo sono le chiavi, incarico-privilegio che Pietro ha ricevuto direttamente dal Signore e dai fedeli riconosciuto. Nelle bolle di indizione, i Pontefici ricordano la successione petrina, la potestà di rimettere le colpe e le pene, dovute alla giustizia divina e condizionano il lucro delle indulgenze alla visita in Roma pro reverentia beatorum Petri et Pauli apostolorum Principum. Negli anni giubilari la Porta santa si apre nel giorno della vigilia di Natale, ai primi vespri della Natività del Signore, a ricordo pare dell’inizio dell’anno, che anticamente partiva a nativitate Domini. Il 25 dicembre, che può sembrare una data occasionale, è al contrario pregna di significato teologico: sta a indicare che la venuta del Signore inaugura i tempi nuovi “per mezzo del quale vedrete i cieli aperti” (Gv 1,51). La nascita del Salvatore del mondo introduce a una nuova era, a una nuova alleanza tra il cielo e la terra. Cristo, che ha infranto tutte le porte che si aprono sull’inferno e sulla morte, lascia aperta una sola, sé stesso, per accedere al Padre “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e troverà pascolo” (Gv 10,9). Il Signore alla fine dei tempi tornerà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. La croce senza la figura del Crocifisso decora la Porta santa, prima di essere forzata per coloro che vogliono entrare. Il richiamo figurativo è essenzialmente teologico, si appella alla croce gemmata che a partire dal Tardo Antico splendeva nella conca absidale (fig. 5), collocata a oriente, lì dove sorge il sole e i cristiani attendono il “Signore che viene”. La croce splendente, fatta di oro e di pietre preziose, trofeo di vittoria e simbolo escatologico, è intesa secondo la teologia giovannea, che afferma la regalità di Cristo: “allorché sarò innalzato da terra tutti attirerò a me” (Gv 12,32). La porta assume di fatto un significato strettamente cristologico, introduce alla città celeste, perdona le colpe, rimette le pene, accoglie per i pascoli eterni.

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