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Paloscia e le visioni “di cielo e di mare” In esposizione alla galleria 54arte contemporanea
15 aprile 2022

È stata inaugurata nella galleria 54 Arte Contemporanea, la personale Di cielo e di mare del pittore Michele Paloscia. L’allestimento resterà visitabile sino al 30 aprile, quotidianamente (con l’eccezione della domenica e del mercoledì), dalle ore 18.30 alle 20.30, presso la galleria al numero 54 di via Baccarini. Michele Paloscia, molfettese, è stato docente di Disegno e Storia della Moda negli istituti superiori; per chi volesse approfondire il suo percorso artistico segnaliamo il catalogo Ritratti. 1966-2013, e, come accessus alla produzione pittorica del Nostro, il corposo e prezioso saggio di Gaetano Mongelli, curatore del volume. Quest’ultimo, intervenuto anche durante l’inaugurazione della mostra, ha offerto, con la consueta lucidità di sguardo, tutta una serie di suggestioni e connessioni, sia sotto il profilo tecnico sia dal punto di vista concettuale. Un itinerario che lo ha condotto dal Puer Apuliae alla meditazione sull’assenza dell’uomo da queste tele di Paloscia, tutt’altro che casuale in un momento storico in cui è sotto gli occhi di tutti quanto azioni scriteriate stiano mettendo a repentaglio l’oikos comune. I dipinti prescelti quali immagini guida della brochure, di diverso formato, ma accomunati dall’intitolazione Di cielo e di mare e dall’uso di acrilico e fusaggine su cartone telato, ci immettono alla perfezione nello spirito dell’allestimento. L’autore ha mellificato quella tradizione che non fa del cielo mero scenario di un vedutismo fine a sé stesso, ma che lo vede protagonista, a volte in modo discreto, vessillifero di uno stato d’animo o di un’atmosfera. Una tradizione che trascorre parlandoci dai cieli dei Tiepolo di Villa Valmarana ai Nani o di Villa Zianigo al paesaggismo romantico di un Constable, dalla Natura possente di Friedrich allo sguardo connotato all’umiltà nei confronti della madre par excellence di alcuni esponenti della Scuola di Barbizon. Dalla morbida visione del Piccio a echi novecenteschi quali l’inchiesta serrata sull’éternel azur di Guccione… Passato, passato recente, sollecitazioni moderniste dialogano con lo sguardo limpido e con la perizia tecnica del pittore Paloscia, artista dall’accento del tutto peculiare, perché ciascun pittore può essere paradossalmente figlio di numerosi padri, ma finisce inevitabilmente col divenire modello a sé stesso. Così il visitatore potrà passare di meraviglia in meraviglia, tra visioni di piccolo o grande formato, persino bozzetti preparatori; suo sarà l’incanto ch’è stato del pittore stesso. Paloscia racconta sempre che il paesaggio è il “giacimento culturale” da cui ‘estrae’ la sua “personale visione”. Un filone aureo per cui la luce serotina, gli arabeschi delle nuvole in cielo, i tormenti e le solarità del mare lo incantano e si traducono nei suoi pensieri-visioni. La fedeltà a ciò che la retina mostra non distoglie dal cogliere l’essenza delle cose; l’attenzione al dettaglio non è mai leziosaggine o feticismo del “dato retinico”, perché ogni generoso tratto che il pennello deposita è restituito dall’occhio in una visione d’insieme che, a tratti, rasenta anche l’estrema sintesi, ma non abdica mai alla volontà rappresentativa e alla forza comunicativa. Soprattutto, l’arte di Paloscia è figlia dell’homo faber che guarda al mondo con stupore, quasi fosse vivo in lui il puer aeternus. Quello che si meraviglia persino al cospetto della bellezza di una nube incombente sulla vegetazione e la città. Quella nuvola porterà forse anche pioggia, ma quale innegabile maestà le ha conferito la mano misteriosa che l’ha modellata! Si tratta della stessa possente mano che increspa le acque corrucciate del mare; così, anche la tempesta non spaurisce l’artista, che, stupefatto dalla danza del flutto e delle cromie, non scorgerà in essa mai un’acqua della pena. L’uomo è il grande assente, come giustamente ha sottolineato il professor Mongelli. Suo però è lo sguardo che contempla la natura. È possibile ancora incantarsi dinanzi a tale spettacoli, mentre la minaccia nucleare incombe su di noi? È forse già segno della nostalgia di un mondo “assai prossim a disfars”? Diceva Bloom che “La percezione della forza estetica ci insegna a parlare con noi stessi”. Possiamo allora comprendere come, a fronte dei deliri di onnipotenza cui quotidianamente assistiamo inermi, non accadrà mai invano la verità di quell’arte che ci restituisce il senso della nostra finitudine al cospetto di una Natura immensa e ci induce a riscoprire la comunione con l’arcano mistero di cui siamo parte. © Riproduzione riservata

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