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Napoleone Colajanni e il federalismo democratico (II parte)
15 agosto 2008

NAPOLI – 7.7.2008 Già nel lontano 1885, lo studioso siciliano aveva preso posizione contro le teorie dell'inferiorità razziale del Mezzogiorno. In una serie di articoli su La delinquenza in Sicilia, facendo propri i risultati dell'inchiesta Franchetti-Sonnino, dell'inchiesta parlamentare del Damiani e di quella agraria del Bonfadini, nonché degli studi di Turiello, egli ricavò un quadro sintetico delle condizioni socio-economiche della Sicilia, ancora caratterizzata da una struttura feudale. Ed è propria nella carenza dello sviluppo della struttura socio-economica che egli ravvisò la causa fondamentale dei fenomeni delinquenziali dell'isola. Negli anni successivi la sua prospettiva divenne più amplia e complessa. Nel 1898 in Settentrionali e meridionali, Colajanni prese le distanze dalla spiegazione puramente economicistica. In base al suo positivismo storicistico, Colajanni preferiva parlare di una molteplicità di fattori e non di un'unica causa. Pertanto, la genesi della questione meridionale era da ricercare sia nei fattori di natura politica sia nei fattori di natura socio-economica. Secondo Colajanni, la causa fondamentale dell'ingiustizia nei rapporti sociali, del servilismo, della prepotenza, della ribellione e dell'arresto dello sviluppo sociale, economico e civile del Sud era da individuare prevalentemente nell'azione di “governi malvagi”, tra cui lo studioso annoverava anche quella dei governi dell'Italia unita ed accentratrice. Consapevole delle differenze che intercorrevano tra le diverse regioni meridionali e quelle settentrionali, lo studioso siciliano si schierava apertamente in favore del federalismo mutuato dalla scuola di Carlo Cattaneo. Dunque, secondo Colajanni, all'interno dello stesso ordinamento politico coesistevano «due Italie», che per la diversità delle condizioni di sviluppo, richiedevano l'attuazione di politiche conformi alle loro esigenze. Secondo lo studioso siciliano, un esempio calzante di tale situazione era offerto dalla Lombardia e dal Mezzogiorno. Elencando gli altri problemi causati dallo Stato monarchico-liberale, Colajanni citava: l'affievolirsi del sentimento unitario, ossia l'odio crescente tra meridionali e settentrionali, accompagnato dal risorgere di istanze separatistiche; i dilaganti fenomeni di corruzione politica. In sostanza, Colajanni sosteneva che la centralizzazione elefantesca fosse la causa prima dei mali d'Italia. Per cui se si voleva salvare l'unione delle forze italiane si doveva attuare la riforma dello Stato in senso federale. Idea federale che Colajanni tenne sempre ben distinta da quella separatistica. Se gli effetti negativi del modello statuale centralizzato si riversavano su tutta le regioni era pur vero, secondo lo studioso siciliano, che essi colpivano soprattutto quelle meridionali, contribuendo fortemente ad aggravarne le condizioni di arretratezza. Infatti, Colajanni, sosteneva che il processo di unificazione si era svolto secondo una logica politica di tipo coloniale, in quanto incentrata sui principi della «conquista» e del «sacrificio» del Sud agricolo al Nord industriale. «Conquista» e «sacrificio» che sul piano istituzionale avevano trovato la loro espressione in un sistema politico rigidamente accentrato. Non fu un caso, quindi, che i diversi governi succedutesi dopo l'Unità, considerando le regioni meridionali un vero e proprio dominio coloniale disattesero alla soluzione dei problemi del Mezzogiorno, contribuendo anzi, ad aggravarli con delle politiche di sfruttamento e repressione. Il sacrificio del Sud agricolo al Nord industriale, secondo Colajanni, era confermato dalla sperequazione tributaria. La condanna delle modalità secondo cui si era svolto il processo di unificazione, se da una lato sembrava riprendere e rielaborare in termini politici alcune credenze popolari, dall'altro diede inizio a quella contro storia in polemica con l'apologia dell'Unità, cui a fine '800 diedero un notevole contributo anche Ciccotti, Nitti e Salvemini, la cui opera si caratterizzò per le critiche basate su rigorose analisi storiche, socio-economiche e finanziarie e non sulle semplici recriminazioni morali. Sfruttamento economico, sperequazione tributaria, oppressione politica ed immobilismo sociale per Colajanni potevano trovare la loro soluzione in una Repubblica democratica federale. La soluzione prospettata da Colajanni aveva il merito di infrangere le tesi immobilistiche, fatalistiche e scettiche avanzate dai Lombroso, dai Niceforo e dai Fortunato, puntando su un nuovo fattore: l'inserimento delle masse meridionali nella gestione della cosa pubblica. Profondamente scettico nei riguardi delle capacità e della moralità della classe dirigente formatasi sotto il regime monarchico, di contro, lo studioso siciliano era profondamente fiducioso nei confronti delle potenzialità di maturazione politica ed intransigenza morale delle masse, tenute in condizione di soggezione da uno Stato che favoriva i soli interessi dei latifondisti e delle mafie. Infatti, con il saggio Nel regno della mafia Colajanni aveva denunciato la collusione tra mafia e politica che da occasionale durante i governi della Destra, era divenuta, dopo il 1876, sistematica e normale con l'avvento della Sinistra al potere. Se lo Stato monarchico-liberale aveva cristallizzato e rafforzato i privilegi e i poteri dei notabili e delle cricche meridionali, in cambio di un loro incondizionato consenso. Colajanni aveva avuto modo di dichiarare pubblicamente la sua posizione a favore dell'autonomismo regionale e del suffragio universale in occasione dell'istituzione del Commissariato civile in Sicilia. Infatti, nel 1896 il capo di governo Antonio Starabba marchese Di Rudinì (foto) – facendosi interprete delle richieste di decentramento amministrativo regionale provenienti dalla borghesia moderata lombarda e cercando di dare una risposta alle istanze autonomistiche siciliane riemerse durante il movimento dei Fasci –, nominò il senatore Giovanni Codronchi Commissario civile per la Sicilia, con l'incarico di riordinare la situazione amministrativa e finanziaria, onde evitare altre esplosioni di malcontento popolare. Quello del Di Rudinì era un esempio di «decentramento conservatore», che, rappresentò l'occasione per rilanciare il dibattito parlamentare sull'assetto politico-istituzionale dell'Italia. Poco prima dell'inizio del dibattito parlamentare per la ratifica del decreto di nomina del Commissario civile i socialisti palermitani avevano inviato a Codronchi un Memorandum, con cui chiedevano l'autonomia regionale, da essi considerata la soluzione più idonea dei problemi che l'accentramento aveva provocato in Sicilia. Come ha osservato Rosario Villari, l'autonomismo socialista respingeva il contenuto conservatore del regionalismo tradizionale. Colajanni espresse il suo appoggio al Memorandum dei socialisti facendone proprie le istanze di fondo. In occasione dell'istituzione del Commissario civile, Colajanni sottolineò le differenze fra il decentramento democratico ed il decentramento «imperialista» avviato dal Di Rudinì. Nonostante queste critiche Colajanni, animato da spirito sperimentatore e riformatore, non fece mancare il suo risoluto appoggio al provvedimento relativo al Commissario civile. Nel discorso tenuto alla Camera il 4 luglio del 1896, Colajanni analizzò le cause della questione siciliana riproponendo la sua analisi basata sull'incidenza del fattore economico da un lato e di quello politico-amministrativo dall'altro. Tra le cause politiche ed amministrative Colajanni ricordava: il dazio di consumo enorme e il sistema delle clientele connesso al sorgere dei “fasci spuri”. Nello specifico, Colajanni ricordava che la mafia legata alla grande proprietà terriera e il radicato odio di classe erano gli effetti più vistosi e pericolosi della struttura feudale dell'isola, rinforzata dalla cappa del centralismo burocratico. Analizzate le cause lo studioso siciliano proponeva i rimedi: legge sul latifondo; riconoscimento ai lavoratori del diritto ad organizzarsi; decentramento. Scettico per quanto riguardava la possibilità che il governo Di Rudinì varasse la riforma agraria, Colajanni lo era altrettanto nei confronti della possibilità che una legge sui salari e sui contratti agrari potesse da sola migliorare la situazione. Non una riforma, nel migliore dei casi, calata paternalisticamente dall'alto, avrebbe potuto migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti e dei contadini ma il riconoscimento dei loro principali diritti politici e civili. La soluzione politica dei mali della Sicilia e del Mezzogiorno veniva indicata da Colajanni, in polemica con l'«apologia del giacobinismo unitario di Fortunato», nella «grande utopia» del decentramento. Dal decentramento Colajanni non si attendeva tanto vantaggi finanziari, quanto vantaggi politici, un «freno al cosiddetto parlamentarismo». Salvatore Lucchese
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