MOLFETTA – Alle numerose critiche al Molfest, celebrato dall’ufficio propaganda del Comune si aggiunge quella di un lettore Marco Gadaleta, che ha inviato a “Quindici” un’analisi puntuale e onesta, che condividiamo e pubblichiamo.
«A leggere il comunicato stampa ufficiale, il MolFest 2025 è stato un trionfo su tutta la linea: un "viaggio emozionante" con 210.000 presenze, un "sogno condiviso" che ha trasformato Molfetta in "un solo cuore fatto di tutti".
La narrazione, ricca di enfasi e auto-elogi, dipinge un quadro di successo assoluto, sostenuto da numeri imponenti che testimoniano una crescita esponenziale rispetto all'anno precedente. Tuttavia, un'analisi più attenta del comunicato e dell'evento stesso suggerisce una realtà più sfumata, dove alle luci dei grandi numeri si affiancano alcune significative ombre.
I "protagonisti" senza nome.
Il comunicato definisce le associazioni del territorio "autentiche protagoniste" e "cuore pulsante del tessuto sociale". Un riconoscimento verbale importante, che stride però con un'assenza tanto evidente quanto simbolica: nessuna delle oltre 90 associazioni coinvolte viene mai nominata. Restano una cifra, un'entità collettiva e anonima, fondamentale per gonfiare le statistiche di partecipazione ma priva di un'identità specifica nel racconto ufficiale.
Queste realtà hanno garantito, con il loro impegno volontario, l'afflusso di pubblico e l'animazione di gran parte delle aree, diventando la vera spina dorsale dell'evento. Il rischio, in questi casi, è che il "lavoro collettivo" tanto decantato si traduca in un contributo fondamentale ma poco riconosciuto, dove il plauso finale si concentra quasi esclusivamente sugli organizzatori, le cui dichiarazioni occupano invece ampio spazio. Quantità o qualità? Il festival dall'identità? Dispersiva.
L'enfasi sulla crescita dimensionale “147mila mq, 20 scuole, 90 associazioni” solleva un interrogativo sulla qualità dell'esperienza. L'evento, nato con una vocazione "comics", appare trasformato in un contenitore vasto e poliedrico di "cultura popolare". Una scelta che, se da un lato mira all’inclusività dall'altro rischia di generare un senso di dispersione. L'impressione è quella di una grande fiera, una "sfilata di gazebo" che, pur stimolando la curiosità, può lasciare nel visitatore una sensazione di appagamento solo parziale.
Questa dispersione si è notata anche nella programmazione, con alcuni spettacoli penalizzati da orari difficili e da una scarsa cornice di pubblico, un dettaglio che contrasta con l'immagine di "piazze gremite" descritta nel comunicato. Le 210.000 presenze, numero di per sé impressionante, potrebbero quindi mascherare una fruizione più frammentata e meno coinvolgente di quanto la narrazione ufficiale voglia far credere.
Una retorica studiata
Il comunicato stampa è un capolavoro di retorica emozionale. I concetti di "libertà", "sogno", "carezza data alla città" e "sguardo condiviso" costruiscono un'atmosfera quasi idilliaca. Persino le scuse per i "piccoli e grandi disagi" vengono immediatamente riassorbite in una narrazione positiva, trovando "la risposta più bella nei vostri sorrisi". E’ una strategia comunicativa efficace, che mira a elevare l'evento al di sopra delle criticità pratiche, trasformandolo in un'esperienza quasi spirituale. Le lunghe e appassionate dichiarazioni degli organizzatori, che si concentrano sul proprio vissuto emotivo e sulla complessità del lavoro svolto, finiscono per mettere in secondo piano il contributo altrui.
In conclusione
Il MolFest 2025 si presenta come un evento dai due volti. Da un lato, il successo numerico e la capacità di mobilitazione sono innegabili. Dall'altro, emerge la percezione di un'occasione in cui il contributo essenziale del volontariato non ha ricevuto il giusto risalto nominale, rimanendo un dato statistico nel racconto ufficiale. La crescita dimensionale, se non guidata da una visione chiara, rischia di generare confusione anziché? valore aggiunto. Per il futuro, l'augurio è che alla celebrazione dei grandi numeri si affianchi un riconoscimento più puntuale e concreto di tutte le forze che rendono possibili tali eventi, trasformando la "casa aperta" descritta nel comunicato in un luogo dove nessuno, soprattutto chi lavora nell'ombra per il bene comune, si senta un ospite invisibile».
Marco Gadaleta
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