Manca la trasparenza e il controllo dei cantieri Il sindaco non ascolta nessuno
L’INTERVISTA. Giovanni Infante, consigliere comunale di Rifondazione comunista
Qual è la sua opinione sull’ultima vicenda giudiziaria del porto di Molfetta? «Come è nello stile di RC, non diamo alcuno spazio al giustizialismo. Della vicenda di cui ci viene chiesto, se ne occuperà la magistratura inquirente che dovrà dimostrare che i reati di cui si riporta siano in effetti stati consumati». La costituzione di parte civile serve al sindaco Minervini a tirarsi fuori da questa vicenda. Lui ha delle responsabilità almeno politiche? «Non può non avere responsabilità un sindaco le cui ormai 3 consigliature in via di completamento si sono embricate con i 21 anni di realizzazione del progetto. Responsabilità sia in positivo in quello che è stato realizzato dell’opera, sia in negativo in quello che non è stato ancora realizzato o è stato realizzato come ipotizzato dalla magistratura nella ultima inchiesta, con modalità improprie al capitolato dell’appalto. Una delle responsabilità politiche del sindaco è quella di non aver incrociato, mentre il progetto si dipanava, le interlocuzioni dei portatori di interesse, della marineria, della cittadinanza. Di non aver considerato i suggerimenti e i punti di vista anche esperti che altre forze politiche, compresa la nostra hanno cercato di portare nella discussione pubblica. Nel 2017 e nel 2020 come RC abbiamo organizzato conferenze con protagonista il prof. Gattuso una autorità accademica nella portualità, trasporti e logistica, con lo scopo di far ragionare la città e la sua classe dirigente su di un progetto, quello del porto, che appariva già allora tendenzialmente obsoleto e da tarare nuovamente sulla evoluzione che gli scenari geopolitici ed economici in rapida evoluzione, stavano ridisegnando nel mondo. C’è stata come risposta una chiusura a riccio da parte del sindaco e delle sue variegate maggioranze, per difendere il progetto così come si stava realizzando. Soprattutto manca ancora una visione del tipo di commerci che dovrebbero avere il nuovo porto di Molfetta come terminale. Perché poi tutta la progettazione logistica su retroporto e il potenziale terminal ferroviario sarebbero consequenziali. E manca la trasparenza e il controllo sulla attività dei cantieri. Almeno questa è l’ipotesi adombrata dalla magistratura che va comunque provata. Tutto concorre a rallentare il completamento del progetto». Il porto di Molfetta può considerarsi un caso di cattedrale nel deserto o di sperpero di denaro pubblico? «Come molfettesi dobbiamo augurarci che non lo sia. Le cifre sottratte alla comunità e che avrebbero potuto essere impiegate in altri progetti sono oggettivamente colossali. Abbiamo chiesto al sindaco di conoscere con precisione quanto sarà il costo finale dell’opera. Senza avere risposta. Possiamo solo augurarci che la conclusione dell’opera intercetti un piano di gestione che lo renda operativo e lo faccia stare sul mercato. Temiamo purtroppo che la gestione, non potrà essere che privata. Possiamo solo sperare che il porto sia posto anche al servizio delle vocazioni produttive del territorio e che possa moltiplicare le occasioni di occupazione locale. Anche per limitare il crollo demografico che sta colpendo Molfetta più delle altre città della zona. Quando parlo di una gestione privata che è nella prospettiva di questo porto, lo dico consapevole che i nuovi scenari europei consolidano con finanziamenti pubblici cospicui solo i porti Core come Bari e Taranto (con finanziamenti anche europei) e Comprensive come Brindisi (con finanziamenti statali ). Tutti gli altri piccoli porti potranno vivere se riusciranno ad attirare risorse private sviluppando attività specializzate». Questa amministrazione si sta rivelando come incapace di affrontare i problemi e i bisogni amministrativi? Lei ha parlato di scempio. «Questa amministrazione inizia a pagare il prezzo dell’essere una ammucchiata di una variegata componente civica dove concorrono alla azione amministrativa, in parte visioni politiche personali sicuramente legittime, ma anche lobby interessate alla gestione di alcune attività, e per taluni motivazioni di visibilità politica pura e semplice finalizzata a costruirsi una carriera in ambiti più remunerativi. Il sindaco funge da esattore di queste posizioni. Ma tenere insieme tutte queste istanze spesso in concorrenza ha un costo politico. Un classico esempio è la situazione sanitaria a Molfetta. Dove non è passato inosservato un comunicato del sindaco che rivendica di aver ottenuto 4 posti di Nefrologia nel nostro ospedale Don Tonino Bello. La realtà delle cose, verificata attraverso il colloquio con gli operatori dell’ospedale racconta che i posti letto realmente aggiunti forse sono solo due. E che dei 4 nuovi posti tanto enfatizzati, 2 sono stati in realtà tolti alla Cardiologia e alla Urologia. Ma al di là del posto letto in più o in meno c’è la realtà di una città come Molfetta che da molti anni ha visto il proprio ospedale declassato ad ospedale di base. Ci troviamo di fronte ad un sindaco che non difende il nostro ospedale. Né può, come dovrebbe invece, alzare la voce con la direzione della ASL Ba perché non farebbe altro che rimarcare le colpe della gestione Emiliano sul nostro ospedale cittadino, sconfessando il consigliere Tammacco che vorrebbe ritagliarsi il ruolo di garante della presidenza Emiliano in città». «Vorrei aggiungere alcune considerazioni in merito alla discussione in consiglio comunale sul nuovo porto. È stata un›occasione per dissequestrare il dibattito sul tema, mettendo al corrente la città sullo stato di un›opera che ne condiziona le sorti oramai da più di vent›anni. È stato un consiglio convocato dalle tre opposizioni della città. Quella di destra, quella di centro-sinistra, e quella di sinistra. Si sono viste le differenze di visione rispetto alle prospettive dell’opera. Poteva essere una grande occasione per la città e per le componenti portatrici di interessi sulla questione per capire. Lo scarso pubblico presente dovrebbe far preoccupare circa la capacità di presa che ha la politica in città. Soprattutto questa politica affidata alla volatilità di un civismo spesso amorale che rappresenta non visioni politiche ma solo posizioni di rendita personale. Ho dedicato il mio intervento in aula ad aspetti squisitamente politici della vicenda, tralasciando le vicende giudiziarie che ritengo debbano essere discusse in altra sede. Così per l’ennesima volta abbiamo registrato un rallentamento dei lavori nella realizzazione di un’infrastruttura concepita nel lontano 2002, in un contesto geopolitico ed economico completamente diverso da quello attuale e che rischia una volta completata di nascere già obsoleta. A ciò si aggiunga che ad oggi, lo ribadisco, non ne conosciamo le prospettive di crescita e la ragion d’essere sul piano commerciale. Come forza di opposizione negli anni abbiamo sempre avuto un atteggiamento critico nei confronti del grande porto, ma alle critiche legittime, una volta iniziati i lavori, abbiamo affiancato delle proposte di sviluppo e modifica dell’opera. Siamo ad oggi ancora in attesa di capire quali merci verranno movimentate nel porto di Molfetta, quali rotte permetteranno i tanto decantati benefici economici e le ricadute sulla città. E non bastano le parole del sindaco, che dice di aver presentato un business plan al Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, la città deve essere ragguagliata in merito, perché si tratta di un’opera pubblica, finanziata con i soldi di tutti, sottratti ad altri servizi. Né può bastare la proposta progettuale del terminal e la volontà di un privato nel finanziarne la realizzazione a legittimare l’esistenza del porto, in una folle corsa al cantiere più costoso e più impattante senza alcuna strategia concreta alle spalle. Dopodiché assolutamente lunare è stata la dichiarazione del primo cittadino che ha annunciato l’avvenuto completamento dei lavori del porto. Deve essere funzionalizzata la banchina. Va costruito l’asse viario di collegamento. Vanno eseguiti I dragaggi che incrociano il progetto di colmata sul lungomare. Insomma, i tempi per vedere che una opera costata alla comunità più di un centinaio di milioni di euro produca il primo euro di reddito, dia lavoro a lavoro finito, ad un solo lavoratore, sono ancora al di là da venire». © Riproduzione riservata