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Luigi Sturzo: questione meridionale al centro della politica (I parte)
06 maggio 2007

NAPOLI - 6.5.2007 Luigi Sturzo (1871-1959) pone la questione meridionale al centro della sua azione politica, culturale e morale, nel tentativo di contendere al Partito socialista l'egemonia organizzativa delle masse rurali sulla base del principio cristiano di solidarietà. La repressione crispina dei Fasci siciliani e la crisi di fine secolo, lo inducono a ritenere la classe dirigente liberale del tutto incapace di accogliere le istanze di innovazione democratica provenienti dalle masse popolari, che, all'epoca, sul versante cattolico, necessitavano di un'organizzazione politica autonoma, quale quella che prefigurava l'azione politica Romolo Murri con il movimento della Democrazia cristiana, al quale Sturzo (foto) aderisce con convinzione e passione. Il sacerdote siciliano fa leve sul non expedit, non per tenere aperta la questione romana ma per evitare che la religione venga piegata, attraverso la compromissione del clero nelle pratiche clientelari, alle esigenze particolaristiche della vita politica locale e nazionale. Di grande importanza, a questo proposito, la sua descrizione del clero meridionale. “Ivi [nel Mezzogiorno, ndr] – osserva Sturzo nella sua Battaglia meridionalista - le condizioni religiose sono difficili principalmente perché il contatto delle autorità e dell'ambiente laico con quello ecclesiastico è troppo continuo e per i troppi interessi insiti, e si risolve, per cumulo di tradizioni dolorose, in vera invadenza laica, anzi in sopraffazione. Per cui il clero è, in generale, in una condizione di grande inferiorità morale e materiale: esso dipende dai patroni laici, che sono municipi o case principesche, nella collazione dei benefici; a ingraziarsi i quali ha più cura o almeno più interesse che a sostenere i diritti della Chiesa e del popolo; dipende dalle commissioni laiche spesso in mano di liberali e massoni nelle feste religiose; dipende infine dalle famiglie ricche e prepotenti che sostengono molte spese di culto e che tengono i preti per amministratori, maggiordomi, maestri di casa. Questo stato di vera e reale dipendenza del clero, è aggravato dal fatto che il sacerdote vive la vita di famiglia, ne cura gli interessi materiali e morali, come il capo della casa; non si allontana dal proprio paese, dove non di rado, per conto della famiglia, esercita la mercatura o l'industria agraria, anche per vivere, perché la Chiesa dà scarsi proventi, riservando a pochi i pingui benefici. Tale stato di fatto, reso più grave dalla poca istruzione, [costringe] il clero a partecipare, intensivamente, ai partiti personali locali municipali e politici, che non sono a base di idee ma di persone; e così si ha lo strano fatto che sacerdoti e parroci sono elettori e partigiani scoperti e influenti di De Felice, Noè, Colajanni, Cascino, Pasqualino Vassallo, Pantano e Nasi e altri radicali, massoni, socialisti, e dei relativi consigli municipali e provinciali; o peggio preti contro preti, mescolando partiti religiosi a partiti politici e creando quella coscienza atrofizzata in popoli, materialmente religiosi, i quali non hanno scrupolo a sostenere nella vita pubblica uomini contrari a ogni sentimento religioso e a ogni principio di onestà”. Lucchese Salvatore
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