Lettera a un medico di famiglia che va in pensione: un esempio di buona sanità e servizio agli altri
Il dr. Antonio Brizzi
MOLFETTA – La sanità spesso è oggetto di critiche che coinvolgono anche alcuni medici di base che ormai si limitano a scrivere ricette e non fanno più visite domiciliari, come un tempo quando “il dottore” era veramente il medico di famiglia che seguiva il paziente in tutta la sua vita.
E’ pervenuta a “Quindici” la lettera di una signora, che preferisce restare anonima (una scelta che condividiamo in una società dove tutti, a cominciare dai politici, vogliono solo mettersi in mostra), che vuole salutare e ringraziare il suo medico di famiglia, il dott. Antonio Brizzi, che va in pensione. Eravamo incerti sulla pubblicazione, poi abbiamo pensato che, proprio perché viviamo il tempo di una sanità senz’anima, un esempio d’altri tempi può essere importante per tutti di buona sanità e servizio agli altri.
Ecco la lettera:
«Caro dottore,
temevo l’arrivo di questo momento e inesorabilmente la notizia è arrivata.
Il dottor Antonio Brizzi chiude il suo studio, è arrivata la meritata pensione.
Sarò controcorrente lo so, di solito si è più abituati a sentir parlare di mala sanità, delle mancanze dei medici di famiglia, ma con lei è stato tutto diverso. Lei è il medico di famiglia per eccellenza.
Sono arrivata a Terlizzi nel 1998, ricordo ancor il nostro primo incontro, lei dietro i suoi baffi che nascondevano la sua timidezza, i suoi occhi azzurri che trasmettevano tutta la sua bontà d’animo e nascosto dietro il suo computer mi ascoltava guardandomi appena. Nel frattempo, studiava il modo per rispondere a tutte le mie necessità e domande.
Sono cresciuta, sono poi diventata mamma, e lei sempre al mio fianco premuroso e attento, disponibile sempre, senza badare a nessun calendario, a nessun orologio.
Si è preso cura anche dei miei bambini che ha conosciuto sin dalla loro piccola età. Quante cose mi ha insegnato!!! Ricordo un episodio tra i tanti. In un freddo inverno i miei due bambini erano a letto con la febbre, la chiamai per venire a visitarli, c’era la neve e fin qui tutto normale, nulla la fermava. Ma il giorno dopo e l’altro ancora a pranzo il mio citofono suonava puntuale ed era lei, il dottor Brizzi venuto a controllare come andava, come stessero.
Ci sarebbe tanto da dire e ricordare, per esempio mi ricordo quando apprese della brutta notizia di suo padre; io ero lì nel suo studio, e lei togliendosi gli occhiali mentre massaggiava la fronte e i suoi occhi, mi raccontò il suo dolore ed in un attimo il suo caro camice bianco cadde inesorabilmente, lasciando il posto alla bellissima persona che è.
E poi, come non ricordare la cura e la premura che ha avuto per mia madre, tutti i preziosi consigli, la delicatezza che ha avuto nei confronti della paziente e della malattia stessa. Mi è stato sempre vicino ma così vicino, da essere ricoverati per caso nello stesso tempo e reparto. Le camere una accanto all’altra e io che la chiamavo per chiudere o aprire la finestra, o quando mi passava un giornale perché allettata, che ridere, se ci penso. Anche in quei frangenti, al servizio degli altri.
Ho anche vissuto la paura di perderla quando la vita le fece un brutto scherzo o perlomeno le consigliò di andarci piano, di rallentare. In molti hanno preferito prendere altre strade e abbandonarla, io non l’ho mai pensato, ho pregato tanto per lei come hanno fatto in tanti. Era l’unica cosa che potessimo fare per lei che ci aveva dato tanto. E rieccolo più forte di prima nuovamente in studio più motivato di prima, se mai fosse stato possibile.
Conservo ancora un suo bigliettino con la sua nuova firma, quando mi disse, “vedi, son tornato bambino”, ed io le risposi “meglio bambino che vecchio”.
Mi son sempre chiesta quando trovava il tempo per fare il padre e marito, e qui non posso non citare la sua forza, la sua ancora, sua moglie Marisa preziosa pure lei, esempio di dedizione per il marito e attenta con noi pazienti spesso impazienti. Ha dedicato tutta se stessa alla sua missione di medico affinché lei fosse felice, perché lei è felice di essere un medico e lo sarà sempre. Perché lei è il medico esemplare, per esempio quando si preoccupava di non farci stare al freddo mentre si aspettava fuori dallo studio, quando andava in giro fino a tarda sera con la sua valigetta, stanco ma con il passo sempre veloce.
E poi, come non ricordare il periodo drammatico ed inaspettato, quello della pandemia, del covid che ha messo a dura prova tutti noi e voi soprattutto. L’unico punto di riferimento eravate voi, medici di base, e nello stesso tempo eravate i più esposti, quelli più messi in pericolo dal possibile contagio. E anche qui, quanto ho pregato per lei, soprattutto quando a pagarla cara è stato un altro suo collega nonché suo grande amico, il dottor Enrico Pansini, un’altra anima nobile.
In quel dannato periodo mi sono ritrovata a messaggiare con lei anche alle 23, a volte forse fino a mezzanotte, quando ci era negata anche la presenza rassicurante dei nostri medici e il telefono era l’unico modo per essere consigliati e vicini.
Carissimo dottore, noterà che anche in questa occasione le sto scrivendo. Lo facevo sempre, ogni occasione era buona per scroccarle una parola di conforto o di chiarimento ulteriore.
Qui a Molfetta ho raccontato sempre il suo esempio, il suo senso del servizio e del dovere, nelle farmacie, nei laboratori, a tutti ho raccontato la sua dedizione e la sua umanità.
Grazie, grazie davvero a nome di tutti coloro che l’hanno conosciuta e vissuta come medico.
Adesso, è giunta l’ora che dedichi il suo tempo a lei e ai suoi affetti più cari. Sono sicura che noi pazienti le mancheremo ma sia fiero e orgoglioso del suo operato, la sua missione è più che compiuta.
In un angolo del nostro cuore lei ci sarà sempre.
Buon vento, dottore,
buona vita Antonio».