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Autonomia differenziata. Il sindaco di Molfetta: la Costituzione va rispettata tutta per intero
18 novembre 2024

MOLFETTA - «È doveroso continuare a difendere i principi costituzionali dell’uguaglianza e dell’unità nazionale e del principio di sussidiarietà. Per di più l’ulteriore attribuzione di competenze alle regioni, anche delle funzioni Amministrative, spoglierebbe i comuni delle già limitate autonomie, lasciando ai sindaci ed agli amministratori ben poche opportunità di scelta e di programmazione, relegandoli al mero compito di esecutori. La Costituzione affida ai Comuni tutte le funzioni amministrative».
Così il sindaco, Tommaso Minervini, all’indomani della notizia relativa alla decisione della Corte Costituzionale che porterà il Governo a rivedere i contenuti della Legge sull’autonomia differenziata e dei livelli essenziali di prestazione (Lep).

Già a gennaio dello scorso anno il Consiglio comunale aveva approvato all’unanimità un ordine del giorno con il quale si esprimeva una netta opposizione alla cosiddetta “autonomia differenziata”.

«Quella sull’autonomia differenziata – continua il Primo cittadino – così come concepita penalizza il sud, logora fortemente il principio costituzionale dell’uguaglianza tra i cittadini. La decisione della Corte costituzionale lancia segnali incoraggianti».

Nello specifico il Collegio, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, la Corte ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:
- la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;
- il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
- la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;
- il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
- la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
- la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
- l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

Ora, secondo la Corte Costituzionale spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.

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