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Truck Center, Molfetta ricorda le vittime della cisterna avvelenata: stop alle morti bianche e sia fatta giustizia
04 marzo 2012
MOLFETTA
- «Ricchezza dei padroni, sangue dei lavoratori - Stop alle morti sul lavoro» recitava così uno dei tanti striscioni esposti dalla diverse associazioni, movimenti, partiti e sindacati che hanno partecipato ieri a Molfetta al corteo organizzato dal Comitato «3 marzo» (guarda il
video di
Quindici
) in occasione del quarto anniversario della
strage della Truck Center
avvenuta il 3 marzo 2008 quando persero la vita
Guglielmo Mangano
, di 44 anni e, nel tentativo di salvarlo, i colleghi
Michele Tasca
, di 19 anni,
Luigi Farinola
, di 37 anni, l’autotrasportatore
Biagio Sciancalepore
(dipendente di una società di trasporti che lì custodiva i mezzi), di 24 anni, e
Vincenzo Altomare
, di 64 anni, amministratore della stessa Truck Center. Unico superstite, ferito,
Cosimo Ventrella
.
Lo striscione emblematico, sintetizza e unisce lo spirito delle circa 500 persone presenti alla manifestazione. Tutta gente che ha voluto gridare all’unisono il proprio sdegno per la beffarda sentenza di
assoluzione dell’Eni
nel processo bis con rito abbreviato.
Il corteo ha avuto inizio dalla stazione ferrovia e si è snodato lungo le vie della città accompagnato da grida, canti e slogan lanciati dai tanti studenti presenti che hanno reso il clima festoso e pacifico. E’ intervenuto anche il sindaco
Antonio Azzollini
con qualche esponente della giunta di centrodestra, che però, hanno abbandonato il corteo prima del comizio finale, a conferma di una presenza solo formale e non partecipata.
La gioviale presenza dei giovani si è trasformata in ossequioso silenzio quando in piazza Municipio
Stefano Sciancalepore
, padre di una delle vittime e principale promotore del comitato, ha espresso la propria indignazione per l’inammissibile sentenza del tribunale di Trani «o
ccorre giustizia per cinque vite spezzate, il giudice dice che non ci sono prove sufficienti per condannare l’Eni, ma cinque morti non rappresentano una prova? Non si può ammazzare la gente per attuare politiche di contenimento dei costi
».
Ancora più decise sono le dichiarazioni di
Giuseppe Filannino
, coordinatore Cgil Molfetta «
il mondo del lavoro è falcidiato dalla guerra di resistenza creatasi per sopperire allo sfruttamento, siamo diventati schiavi del potere economico, ma non dobbiamo soccombere, non ci si può vendere al sistema e ad un governo che non tutela i lavoratori
».
Gli ha fatto eco
Pino Gesmundo
, segretario generale Cgil Puglia, ringraziando principalmente i tanti giovani presenti e invitandoli a «
diventare una speranza per un Paese in cui un giovane su 3 non ha lavoro, dove gli omicidi sul lavoro vengono messi nel dimenticatoio. Viviamo in un Italia vessata dall’assenza di diritto al salario e da 46 tipologie di lavoro che rendono la vita stessa precaria. Ebbene solo attraverso l’entusiasmo delle nuove generazioni possiamo riappropriarci della prospettiva di un mondo diverso e rivendicare il diritto al lavoro stabile e sicuro
».
Un’analisi che non fa un piega, avvalorata dalle impietose cifre che parlano di tre morti sul lavoro al giorno e di mille all’anno, in una nazione sull’orlo del collasso, nella quale il lavoratore è soggetto alle angherie di un sistema economico, politico e sociale promulgatore di riforme che ne erodono i diritti. Nelle logiche di mercato anche la vita viene mercificata, assume un infimo valore, si scarica il peso di questi eventi luttuosi ad improbabili fatalità che celano le reali responsabilità permettendo ai veri colpevoli di restare impuniti.
Per far fronte a tutto questo, il Comitato «3 marzo» non si ferma e sarà presente il 3 aprile prossimo all’udienza contro la Nuova Solmine, azienda collaboratrice dell’Eni, per continuare a lottare affinché sia fatta veramente giustizia.
© Riproduzione riservata
Autore:
Davide Fabiano
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Tecnico
06 Marzo 2012 alle ore 10:05:00
Signori, la vicenda Truck Center è complessa. E chi non segue l'evolversi della procedura processuale non capirà mai niente se non strumentalizzato. Risulta solo che il Truck center non sapeva cosa fosse la sicurezza sul lavoro e non si capisce neanche quale era il suo scopo del lavoro! Vera chiave di tutta la vicenda difensiva. Per l'Eni è stato semplice contestare tutto. Forse, ci sarebbero volute altre strategie processuali e degli avvocati stile Guariniello, per incastrare quel carrozzone e gli altri giganti, che hanno davvero i piedi di terracotta! Ahimè però, finchè non verranno rese note le motivazioni della sentenza del truck center bis e finchè non si sapranno le reali condizioni di lavoro e lo scopo del lavoro dell'appalto del Truck center, stiamo facendo solo parole. Rimane che delle persone sono morte, perchè mancavano delle minime misure di prevenzione, mancanza di informazione e formazione dei lavoratori e l'inevitabile mancanza di consapevolezza del rischio da parte di tutti, a cominciare dalla ditta che faceva da consulente per il datore di lavoro(Meleam). E' una vicenda esemplificativa della realtà lavorativa italiana e della mancanza di politiche anche repressive di queste condizioni di lavoro.
Rispondi
Giovane Bandolero
05 Marzo 2012 alle ore 17:36:00
Le morti sul lavoro, il precariato, le case sempre più costose, i trasporti che non funzionano, l'energia, la sicurezza stradale, lo smaltimento dei rifiuti, la parità tra i sessi: in Italia sembrano problemi insormontabili. Non abbiamo più fiducia nel futuro, e siamo i meno felici in Europa. Ci crediamo i migliori, i più furbi, (ladri?) invece……..perchè non guardiamo i modelli dei nostri cugini europei? La Svezia ha quasi azzerato le morti bianche, conquistando il primato mondiale della sicurezza sul lavoro grazie all' “OMBUDSMAN” dei lavoratori, ovvero il delegato per la salute e la sicurezza. Come ricorda Samuel Engblom, un avvocato in diritto del lavoro che ha il suo ufficio nel centro storico di Stoccolma, “trent'anni fa il bilancio delle morti in fabbrica era tre volte più alto. La maggiore sicurezza da noi rispetto a tanti altri paesi del mondo è il risultato del dialogo tra sindacati e datori di lavoro. E guai a fare i “furbi” (due ministri sono stati costretti alle dimissioni per aver retribuito in nero la babysitter e non aver pagato il canone). Oggi le migliaia di “ombudsman” in azione in fabbrica e nei cantieri edili dove elmetti e controlli sono la regola rispettata, in scuole e nell'esercito, insomma in ogni posto dove ci siano più di cinque lavoratori, oltre a trovare soluzioni per prevenire gli incidenti, hanno il potere/dovere di bloccare il lavoro quando c'è un pericolo potenziale. E non sono esagerazioni. Perchè in Italia NO?
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