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Tragedia della cisterna maledetta di Molfetta: sono morti per annegamento i due operai dell'autospurgo I risultati dell'autopsia compiuta ieri. Ma le indagini continuano per verificare se la causa sia stata lo stordimento provocato dalla mancanza di ossigeno o dai miasmi delle acque reflue della lavorazione del pesce
11 aprile 2014

MOLFETTA – Morti per annegamento: questo il primo responso ufficioso dell’autopsia compiuta ieri dal prof. Alessandro Dell’Erba all’Istituto di Medicina legale del Policlinico di Bari sui corpi di Nicola e Vincenzo Rizzi, 50 e 28 anni, morti nella vasca dei liquami dello stabilimento “Ittica Di Dio” di Molfetta.

Ma l’indagine sulle cause della morte dei due operai non si ferma qui, perché il Pm Antonio Savasta, titolare dell’inchiesta ha affidato al prof. Roberto Giuliano Candela ulteriori esami tossicologici per verificare se l’annegamento possa essere stato causato dall’asfissia per mancanza di ossigeno nel vano cisterna fognaria o ai forti miasmi provocati dai reflui della lavorazione del pesce. Insomma, si vuole capire se i due uomini sono stati storditi dalle esalazioni e quindi non sono riusciti a risalire dal pozzo, che ha una profondità di circa 2 metri attraverso il tombino, unica strada per la salvezza.
Ma l’inchiesta giudiziaria mira anche ad approfondire altre situazioni possibili come quella di un eventuale continuazione dell’attività della azienda “Di Dio” con lo scarico di altre acque reflue nella vasca in contemporanea alle operazioni di svuotamento della ditta “Rizzi ecologica”. Insomma, il Sostituto Procuratore dott. Savasta non intende trascurare alcun particolare per ricostruire con esattezza la dinamica dell’incidente e quindi attribuire le relative responsabilità.
Per questo motivo ieri lo stabilimento di trasformazione dei prodotti ittici nella zona industriale di Molfetta è stato messo sotto sequestro bloccando ogni attività al fine di controllare l’intero impianto e non soltanto il vano fognario luogo della tragedia. Ed è stato indagato anche il titolare Vito Di Dio di 37 anni.
E quindi da controlli sono interessati anche la Cooperativa di lavoro “Adriatica” che si occupava della lavorazione del pesce all’interno dello stabilimento “Di Dio”: ieri sono stati fatti controlli nella sede legale di Bisceglie e sono stati prelevati documenti. Indagato anche l’amministratore delegato della cooperativa Antonio Papagni, 54 anni. Dall’acquisizione di documenti e dalle perquisizioni giudiziarie non è stata esclusa nemmeno la ditta “Rizzi Ecologica snc” di Bitonto specializzata nello spurgo fognario, per accertare altre responsabilità di eventuali soci  e per capire quale tipo di rapporto ci fosse fra il padre Nicola e i figli: soci, dipendenti, collaboratori. Sarà anche accertato l’eventuale rispetto delle norme di sicurezza e il possesso delle attrezzature necessarie a tale scopo. Ma dai documenti si dovrà rilevare anche se l’intervento dei Rizzi nello stabilimento di Molfetta fosse periodico, oppure se si trattasse del primo lavoro per l’azienda ittica di Molfetta. Questo al fine di accertare se le vittime conoscevano la tipologia del pozzo che li ha uccisi.

I funerali delle vittime sono stati fissati a Bitonto per domani alle 16.30. Nicola Rizzi lascia la moglie Enza Natilla di 48 anni, e due figli Alessio di 21 anni ferito nell’incidente e le cui condizioni sono migliorate (già oggi lascerà l’ospedale di Bisceglie) e Michelangelo di 24 anni; mentre Vincenzo lascia la sua compagna Concetta di 24 anni e un bimbo di 5 anni.

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Li abbiamo già dimenticati, gli Occhinegro, i Sindaco, i Perrini e tutti gli altri caduti dall'estate 2007. Presto saranno dimenticati anche i sette caduti sulla trincea della TyssenKrupp di Torino e così tutti gli altri caduti sul lavoro, quel lavoro sempre meno sicuro. Il traguardo allora da indicare per i nostri politici è, almeno a parole, un lavoro sicuro. A Stoccolma, un'operaia ha bloccato la produzione nella sua fabbrica perché ha segnalato delle mancanze nel sistema di sicurezza. Alcuni colleghi l'hanno accusata di aver esagerato, ma l'ispettore del lavoro le ha dato ragione e la produzione è ripresa solo dopo aver sistemato la falla nella sicurezza. In Italia? Sentite come è andata a un operaio nella fonderia Officine Pilenga di Comun Nuovo nel bergamasco. Avendo segnalato ai suoi capi condizioni rischiose per i lavoratori, è stato accusato di mobbing per aver messo a rischio la salute del suo caporeparto: sospeso tre giorni dal lavoro senza stipendio. E a nulla è valsa la denuncia del responsabile per la sicurezza dell'azienda, Valter Albani, sindacalista CGIL. Nel suo reparto officina, dove operano torni, frese e foratori, questo lavoratore, diligente e con alta professionalità, ha cominciato a segnalare ai responsabili condizioni di pericolo oggettivo: mancanza di carter, sistemi di purificazione dei vapori non funzionanti, olio e acqua chimica sul pavimento. Risultato: nessuno. Così il dipendente ha deciso di evidenziare i problemi sugli spazi liberi dei fogli di produzione giornaliere che devono essere compilati a ogni turno. L'effetto in questo caso c'è stato. L'uomo è stato convocato dal caporeparto: “Gli è stato detto che non era quello il modo di segnalare i rischi. Bisogna farlo verbalmente, o tramite apposite schede, che però io non ho mai visto”, spiega Albani. Niente scandalo in Italia, non siamo svedesi. (DA: Voglia di cambiare – Salvatore Giannella - 2008)


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