MOLFETTA - ‹‹Perché è questo che mi ha insegnato l’America, a non avere più paura››. È con questa frase che si chiude lo spettacolo teatrale “Rosa: dalla paura all’America”, svoltosi presso l’Associazione Malalingua di Molfetta. La storia di Rosa (vero nome Inés) è una storia come tante altre in quell’Ottocento che fa da sfondo all’immigrazione. Abbandonata neonata, con dei segni di riconoscimento, sul torno (tornio), così chiamato perché le madri che abbandonavano lì i loro figli “volevano tornare”, Inés viene affidata a dei contadini di Guggiolo, un piccolo paesino vicino a Milano, Lena e Glé, che le danno il nome di Rosa.
Cresciuta con loro, quando la madre, un’attrice, viene a reclamarla e a portarla con sé a Milano, scappa per tornare da quelli che per lei sono i veri genitori. Mamma Lena, spaventata perché la bambina sta diventando troppo bella e formata a soli 11 anni la porta a una filanda, dove lavora, insieme ad altre sue compagne, per una paga quasi inesistente, ma studia con le suore. Passati i tre anni, durante i quali muore papà Glé, che la bambina non era neanche riuscita a salutare prima di partire per la filanda, Rosa torna a casa dove, ad una festa di ballo in paese, conosce Remo, pochi anni più grande di lei. Tra i due è subito amore, tanto che il ragazzo chiede a mamma Lena il permesso di sposare la figlia appena finito il militare. La donna non dice espressamente né si né no, ma lascia che i due si frequentino.
Dopo varie vicissitudini, tuttavia, la ragazza, non ancora quindicenne, è costretta a sposare Santino, un uomo “simile al diavolo” che la picchia, davanti agli occhi impotenti di mamma Lena, che però un giorno interviene, buttandolo fuori casa. L’uomo se ne va e parte per lavorare in una miniera di ferro in America. Rosa, poco dopo aver partorito suo figlio è costretta anch’ella a partire, ma lascia il suo bambino, Francesco, con la nonna. Arrivata in America, dopo un viaggio lungo e pericoloso, ammassata in terza classa con gli altri poveracci, raggiunge il marito che torna a picchiarla e le dà un secondo bambino. Ad aiutarla è un altro italiano emigrato, Giuanìn. Poco dopo la nascita del bambino Rosa torna a casa per prelevare dal conto del marito, Santino, tutti i risparmi di quest’ultimo e a riprendersi il suo Francesco. Qui rincontra Remo, ancora innamorato di lei, che la supplica di restare, ma alla bellezza del ragazzo si sovrappongono gli occhi buoni di Giuanìn, di cui Rosa nel frattempo si è innamorata. Così riparte e torna dal marito, che con i risparmi guadagnati apre un bordello, costringendo la moglie a lavorarci. Rosa, con l’aiuto di Giuanìn e scappa e riesce a vincere contro il marito in tribunale. Così Rosa è libera di trascorrere la sua vita con l’uomo che ama, impara bene l’inglese e racconta le sue storie, che riscuotono molto successo. Infine, prima di morire, torna un’ultima volta in patria.
Le vicende di Rosa Cassettari, realmente vissuta, sono narrate in un libro di Marie Hall Ets, diventato un classico della letteratura d’immigrazione statunitense.
Lo spettacolo, portato in scena dall’attrice Nora Picetti (foto), è un lungo monologo, che si avvale di una scenografia povera, costituita da un tavolo, che rovesciato diventerà una barca. Inoltre l’attrice si avvale di due cappelli da uomo e uno scialle, utilizzati con furbizia e grande effetto.
L’attrice, con un notevolissimo talento, riesce a fare le varie voci dei vari personaggi, i loro atteggiamenti, i loro accenti, tutto filtrato attraverso gli occhi di Rosa, che racconta la sua storia.
Uno spettacolo delicato, a tratti un po’ amaro, a tratti leggero e divertente. Uno spettacolo per raccontare la vita e soprattutto per imparare a non avere paura.
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