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La pace instabile. Dialogo tra Romano Prodi e don Giovanni Nicolini (edizioni la meridiana Molfetta)
19 febbraio 2014
La pace instabile.
Dialogo tra Romano Prodi e don Giovanni Nicolini è un interessante libro delle edizioni la meridiana di Molfetta,
a cura di Matteo Gandini e Spellanzani Cristina (pp.48 Euro 10,00 sconto 15%, collana Paginealtre).
Il dialogo di questo volume è stato condiviso all’interno di una conferenza, organizzata dalla “Piccola Scuola di Pace”, a Scandiano (presso un ex deposito militare riconvertito a Centro Giovani del Comune di Scandiano) il 29 agosto 2011 dal titolo: “Rimetti la spada nel fodero. Ci sono ancora nella nostra società cantieri di pace?”.
Un dialogo fuori dagli schemi del politichese e del buonismo cattolico.
L'analisi di Romano Prodi è così lucida da far paura. ‘In periodi di cambiamento è difficile trovare accordi sulla pace e sull'economia’. Non perchè non conviene ma perchè la politica non è in grado di prevedere gli scenari futuri e di arrivarci secondo logiche altre. Il cambiamento affidato a meccanismi cinici come quello del modello matematico che fa scattare automaticamente le vendite in Borsa è un cambiamento che non parte’. Invece: 'è la forza delle armi che decide'. Il mondo sta cambiando, la politica è debole se non incapace. Il Presidente Romano Prodi conclude il suo intervento dicendo: 'Con tutta onestà vi devo comunicare quanto sia debole il ruolo dell’arbitro nella politica mondiale.' Anche l'Europa si è mostrata incapace di aggredire il nodo dei conflitti nati negli ultimi anni, dice Prodi: ' Sono – quelli europei- vertici assolutamente zoppi in cui la cancelliera Merkel detta la linea e il presidente francese fa la conferenza stampa. Poi gli altri venticinque paesi brontolano, ma non reagiscono …”
La prospettiva di don Giovanni Nicolini non ribalta lo scenario illustrato da Prodi ma prova a tracciare un percorso per uscirne
. La consapevolezza è che il piccolo, il quotidiano riflette gli scenari mondiali: il cambiamento in atto determina disagi e conflitti sociali pesanti. La povertà, che diventa la logica conseguenza del fallimento della politica ovunque, innesca violenza. C'è speranza? La Chiesa non può rinunciarci. È la sua missione. Ma da dove partire? Dalla dottrina sociale, dal riconoscere l'uguaglianza, dalla proclamazione della parola che è parresia.
Quindi nulla di nuovo? Da un lato la politica che fallisce e dall'altro la Chiesa che 'soccorre'?
No. C'è un oggi del quale siamo responsabili e la pace non è una situazione ma una azione. È un tempo di cambiamento e di questo cambiamento nei cantieri del quotidiano siamo protagonisti anche noi. Si riparte dal basso, dai poveri, dal dialogo e dal confronto. La Chiesa con papa Francesco ha cominciato. È ora che cominci la politica attraverso i cittadini che nella pace ci credono.
“
Nei momenti di grande cambiamento, è difficilissimo trovare gli equilibri di pace, che diano una prospettiva di lungo periodo. Questo è uno dei più veloci e grandi momenti di cambiamento della storia dell’umanità” (Prodi).
“La pace è dunque sempre ‘fare la pace’. La pace non è una situazione ma un’azione. Se non continuiamo a “fare la pace” inevitabilmente diamo lo spazio al conflitto. L’inerzia di chi non è attivo fautore di pace fa di lui un provocatore del conflitto” (Nicolini).
Su
www.lameridiana.it
, cliccando su alcune pagine da sfogliare
http://issuu.com/meridiana/docs/la_pace_instabile
.
Autore:
Adelaide Altamura
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Chi ha ucciso Liberty Valance?
22 Febbraio 2014 alle ore 23:38:00
La vera pace è quella che predicò il primo Dio di Israele: pace per il suo popolo, per i buoni, per i vincitori. Nietzsche lo vide chiaramente, anche se poi, forse, fu schiacciato dal peso della sua visione. Per secoli, una buona parte dell'umanità ha camminato verso questa meta più o mena esplicita. Forse ora incominciamo a renderci conto, dai risultati, che tutti questi sogni tralasciavano un altro ingrediente della realtà irriducibile al mondo tecnocratico. Può darsi che sia Dio, forse come antidoto, il simbolo più potente, anche se probabilmente il meno adatto. Gli Dei sono stati, per lo più, Dei di guerre. Ma il divino non ha motivo di identificarsi con un Dio antropomorfico, “signore” della storia o “re” dell'universo. Un Dio unicamente trascendente, un Dio situato solo alla fine della storia, del tempo o dell'universo, è stato, per lo più, il Dio belligerante di molte religioni, nonostante le proteste dei mistici e le sottigliezze dei filosofi. Questo Dio escatologico, che accoglie solo i pochi vincitori che sono giunti alla meta, non è un Dio di pace, ma di guerra. E' il Dio della evoluzione. Pochi sono coloro che si salvano. Alcuni cristiani (i cattolici) parlano di “Dio perverso” e “selvaggio”. C'è però un'altra concezione possibile della deità: una Divinità che non è solo alla fine né solo al principio, ma in tutti e in ciascuno dei momenti del fluire temporale e che è immanente a tutto e a tutto trascendente; una Divinità che non è un Ente Supremo, ma quel mistero dell'Essere, quella dimensione della Realtà, che non siamo certamente noi, che è sopra di9 noi, ma anche sotto e dentro di noi, secondo la tanto citata frase di sant'Agostino: “Intimior intimo meo”. Se nell'essere umano c'è una scintilla divina, l'uomo non può essere il semplice anello di una catena che prima o poi produrrà il superuomo o porterà fino al “punto omega”. Se l'uomo ha in sé dignità personale e non è un semplice mezzo per un fine più “alto”, la vita umana deve avere un senso possibile e pieno per la persona che la vive. Il dilemma è ultimo: o la pace o la guerra; o l'armonia possibile che permette a ciascun essere di scoprire e vivere ciò che i Vangeli chiamano la “vita eterna”, o la guerra radicata nel fondamento stesso della realtà. C'è da scalare la cima della piramide o rassegnarsi a essere carne da cannone, lavoratore sfruttato, massa dannata, perché la costruzione vada avanti. (Tratto da “Pace e disarmo culturale” – Raimon Panikkar)
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Attanasio, cavallo vanesio
22 Febbraio 2014 alle ore 19:21:00
Si vis pacem para te ipsum. Secondo il "Rapporto sullo sviluppo mondiale" della Banca Mondiale (Washington 1990), nel mondo vi sono 1116 milioni di poveri, i quali vivono con meno di 18 euro al mese. Nel contempo, molti governi di quei paesi spendono vere e proprie fortune nell'acquisto di armamenti: secondo la Banca Mondiale sono stati spesi, nel 1987, 3200 milioni in India, 1300 milioni in Afghanistan e 1600 milioni in Angola. E' significativo che questi dati vecchi di oltre un ventennio siano oggi anche peggiorati. A ben poco servono gli allarmisti.
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Greatest Generations - Think Tank
22 Febbraio 2014 alle ore 12:52:00
Le discussioni sulla pace sono antiche, ma in epoca contemporanea hanno suscitato nuovo interesse e assunto aspetti diversi. La pace si vede minacciata non solamente dai tiranni, dai dittatori, dagli imperatori e dai demagoghi di ogni genere. Oggi la pace è minacciata dal sistema stesso. L'anonimato del sistema e la mancanza di un'alternativa attuabile rendono più pericolosa la minaccia. L'uomo moderno si sente minacciato dalle circostanze esterne: basta considerare le disuguaglianze umane esistenti, le spaventose ingiustizie, l'insicurezza individuale, sociale e politica, tutte cose che non sono certo migliorate negli ultimi trent'anni. Basta pensare all'instabilità economica, alla corsa agli armamenti e così via. L'uomo si trova a essere minacciato anche internamente. Il consumismo, la competizione, la gran voglia di farsi notare, la necessità di crescere (se non si migliora si rischia la bancarotta), il culto per la novità, il bombardamento di informazioni che si fa fatica a percepire e ancor più ad assimilare, potrebbero essere alcune parole chiave per descrivere il nostro stato attuale che non consente la pace, anche se tutto viene ammantato da eufemismi. La pace è diventata instabile e incerta. Si direbbe che non sia possibile trattare pacificamente il problema della pace. Lo si tratta con tremore e angoscia. Come si può parlare di pace in Nicaragua, Etiopia, Afghanistan, Colombia, Balcani, Cecenia, Cambogia, Iraq, Medio Oriente, oggi anche in Ucraina? E molti temono che la situazione possa peggiorare. Già nel 44 d.C., Cicerone chiedeva a Cassio: “Quod enim est, quod contra vim sine vi fieri possit?” (Che cosa si può fare contro la forza senza la forza?). Per dare una risposta, sarebbe necessario prima soffermarsi su una sottile e delicata distinzione tra “forza” e “violenza”. Non fu Marx ma san Francesco d'Assisi a dire: “Tanto un uomo sa, quanto fa”. La storicità dell'uomo ci porta a supporre che ci stiamo avvicinando alla fine della storia come valore assoluto. L'uomo come coscienza storica si approssima alla sua fine, con o senza catastrofe atomica.
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Rachele Terrassa
22 Febbraio 2014 alle ore 10:04:00
La "pace" è sempre stata imposta (pax imperata). Questa "pace" è quella che principi e magnati impongono ai propri sudditi perchè non vogliono che si ribellino contro di loro ma che invece sopportino pacificamente la tirannia che impongono loro. E' questa una pace violenta (pax violenta)....Essi vogliono che i propri sudditi siano in pace fra loro, senza però tenere in alcun conto la pace nei loro confronti. (Da un dizionario latino di morale del XVII secolo del benedettino Petrus Berchorius)
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Greatest Generations - Think Tank
21 Febbraio 2014 alle ore 18:08:00
Le discussioni sulla pace sono antiche, ma in epoca contemporanea hanno suscitato nuovo interesse e assunto aspetti diversi. La pace si vede minacciata non solamente dai tiranni, dai dittatori, dagli imperatori e dai demagoghi di ogni genere. Oggi la pace è minacciata dal sistema stesso. L'anonimato del sistema e la mancanza di un'alternativa attuabile rendono più pericolosa la minaccia. L'uomo moderno si sente minacciato dalle circostanze esterne: basta considerare le disuguaglianze umane esistenti, le spaventose ingiustizie, l'insicurezza individuale, sociale e politica, tutte cose che non sono certo migliorate negli ultimi trent'anni. Basta pensare all'instabilità economica, alla corsa agli armamenti e così via. L'uomo si trova a essere minacciato anche internamente. Il consumismo, la competizione, la gran voglia di farsi notare, la necessità di crescere (se non si migliora si rischia la bancarotta), il culto per la novità, il bombardamento di informazioni che si fa fatica a percepire e ancor più ad assimilare, potrebbero essere alcune parole chiave per descrivere il nostro stato attuale che non consente la pace, anche se tutto viene ammantato da eufemismi. La pace è diventata instabile e incerta. Si direbbe che non sia possibile trattare pacificamente il problema della pace. Lo si tratta con tremore e angoscia. Come si può parlare di pace in Nicaragua, Etiopia, Afghanistan, Colombia, Balcani, Cecenia, Cambogia, Iraq, Medio Oriente, oggi anche in Ucraina? E molti temono che la situazione possa peggiorare. Già nel 44 d.C., Cicerone chiedeva a Cassio: “Quod enim est, quod contra vim sine vi fieri possit?” (Che cosa si può fare contro la forza senza la forza?). Per dare una risposta, sarebbe necessario prima soffermarsi su una sottile e delicata distinzione tra “forza” e “violenza”. Non fu Marx ma san Francesco d'Assisi a dire: “Tanto un uomo sa, quanto fa”. La storicità dell'uomo ci porta a supporre che ci stiamo avvicinando alla fine della storia come valore assoluto. L'uomo come coscienza storica si approssima alla sua fine, con o senza catastrofe atomica.
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Jonathan Livingston - Volo Libero
20 Febbraio 2014 alle ore 23:31:00
Mai come oggi il tema della pace nel mondo è di cruciale importanza. E' un tema che ci coinvolge tutti, e richiede un sincero confronto fra gli uomini. Occorre procedere a un disarmo della cultura bellica nella quale viviamo. Una cultura fatta di arroganza, di brama del potere, di interessi economici, di complessi di superiorità. Perchè ci sia pace in terra dobbiamo compiere una rivoluzione interiore per vincere l'inerzia della mente e accettare di guardare la realtà da un altro punto di vista, di porci domande differenti. Non si tratta di una discussione sui fini stessi della vita. La pace è un desiderio di dialogo che sorge quando ci rendiamo conto che non bastiamo a noi stessi, ma possiamo imparare qualcosa dagli altri mettendo in comune le nostre esperienze. In questo senso, non riguarda esclusivamente la politica, l'etica o la religione: è un compito integralmente umano al quale, come uomini, siamo chiamati.
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