Così ho vissuto la tragedia del peschereccio “Francesco padre” di Molfetta
Il peschereccio Francesco Padre
MOLFETTA - “Passami tua madre”. Era strano che telefonasse dal lavoro ma la voce del militare della Capitaneria di Bari che preannunciava la sua chiamata, non presagiva nulla di buono. Ero in attesa della mia primogenita, mi trovavo a casa dei miei genitori a Molfetta per controlli di routine.
Era veramente strano che mio padre non si informasse dell’esito degli esami ma chiedeva di parlare con mia madre. No Antonio no! Chinata sulla poltroncina, mia madre piangeva, la cornetta che penzolava e la voce di mio padre che non sapeva che da quel momento dall’altro capo del telefono c’ero io.
Ma che dici? Che dici? Purtroppo è vero. Torno prima, aspettatemi. Mi precipitai fuori, sul balcone, la vita sembrava non aver subito alcun mutamento, la mia bambina si muoveva, i ragazzi che non erano andati a scuola stazionavano sul muretto e il balcone di Dora (sorella di Giovanni Pansini) era come l’avevo visto poche ore prima, solo che lei non era fuori sorridente che agitava la mano in mia direzione.
Le notizie da quel momento iniziarono a cadere come la pioggerellina insistente di quel novembre mite. Nulla era cambiato, tutto era cambiato. Non avrei visto più il volto mite di Giovanni (Pansini), non avrei stretto più la sua mano mentre mi aiutava a salire sul motopesca Francesco Padre per festeggiare la Santa Patrona, non avrei visto più Leone che elemosinava cibo e coccole, dimenticando che era un lupo di mare, non avrei più rivisto l’equipaggio.
Mi sembrava un affronto che quella chiesa non potesse ospitare tutte le persone che erano accorse a rendere omaggio a quegli uomini, che volevano solo condividere il dolore con le mogli, i figli e i fratelli. Non parole di conforto, ma io volevo esserci come c’erano stati loro, i primi amici che ci avevano accolto a Molfetta, aprendoci le loro case, i loro cuori, la loro vita.
Era stato fisiologico condividere con loro i momenti belli della nostra vita: la mia prima comunione, la crescita di mia sorella, la nascita di mio fratello, il mio matrimonio e la nascita imminente di mia figlia. Volevo che continuassero ad essere presenti: ogni giorno andavo a casa di Dora e mi sedevo accanto a lei su un piccolo divano di fronte ad un televisore. Sembrava assente ed invece piangeva silenziosamente, senza lacrime, senza singulti quasi vergognandosi di quei momenti di debolezza che non erano propri di una donna di mare, di una armatrice della marineria molfettese.
Poi si accorgeva di me, della mia pancia che toccava e le scappava un sorriso. “Che bel nome hai scelto”. Nella drammaticità di una tragedia improvvisa, nel momento di maggiore dolore, per me lei c’era.
Alla marineria, alla città sono mancati cinque uomini, un cane, un equipaggio. Erano persone care, persone oneste, brave persone. Depistaggi, bugie, nulla potrà distogliere da una verità che tutti conosciamo. E se è vero che la verità viene sempre a galla, non dovete temere, non dobbiamo temere.
Giovanni Pansini, Saverio Gadaleta, Luigi De Giglio, Francesco Zaza e Mario De Nicolo, Leone.
4/11/1994- 4/11/2019
Ad perpetuam memoriam.
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Autore: Beatrice Trogu