MOLFETTA – Si è conclusa con successo nella Sala dei Templari di Molfetta, su iniziativa dell'Associazione Puglia d'Arte e d'Artisti, la terza edizione della mostra contemporanea "L'Arte contemporanea in Puglia: tra multimedialità e tradizione" sul tema "Contro-Global, la Puglia chiama il Mondo/incontri tra unicità".
Tra le varie interessanti iniziative, c’è stata anche la presentazione del libro del giornalista Lino Patruno, già direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, “Ricomincio da Sud”.
A presentare il libro e l’autore è stato un giovane critico d’arte di Giovinazzo, il prof. Marco Caccavo, che ha contribuito alla realizzazione della Rassegna, curata da Daniela Calfapietro (nella foto: Caccavo, Patruno, Calfapietro).
Ecco la sua presentazione:
«Il testo di Patruno, del quale oggi discutiamo, è l'ennesimo schiaffo, e con Patruno siamo abituati a prenderne, vuoi leggendolo come editorialista per la Gazzetta, vuoi come attenti lettori della sua opera, dicevo uno schiaffo, a quello che l'autore in "Fuoco del Sud", altro suo fondamentale lavoro, definisce il paurismo, lo sconfittismo, il perditismo del meridionale, ovvero una cosciente sottomissione a non si sa cosa che ci impedisce, cito Patruno, di "vedere ciò che per pigrizia, per malafede, per partito preso, per ignoranza, per assuefazione, per superficialità non si vede".
Ma cosa non si vede? Non si tratta di semplice miopia, piuttosto, parlerei del bisogno di avere una visione ragionata, riappropriata, del Sud. Cosa vediamo al Sud? Vediamo che il Sud è quello che è, e che magari da 150 anni e più è o è diventato, un esserci fatto di povertà, di conseguente emigrazione, di reddito inferiore a quello del resto d'Italia, di malavita, di monnezza per le strade, di tradizioni, per qualcuno, da sottosviluppati, di carte gettate per terra, di industrializzazione a macchia di leopardo, di eccellenze, di poli tecnologici, di imprenditori come Callipo che anche in seguito a numerose intimidazioni dichiara: "Io resto in Calabria", di giovani e meno giovani che resistono, che dicono ora "Ammazzateci tutti", di piccole e grandi oasi dove la ricchezza non é un miraggio, ma una solida realtà...ma come? Siamo partiti vedendo il brutto e ora piano piano aggiustiamo la mira, la lente critica si affina, mettiamo a fuoco, ora vediamo, senza aberrazione ottica, che il Sud è anche sviluppo, ricchezza, coraggio. E allora, perché un momento fa dicevamo, con auto-disprezzo, che il Sud, si sa, è il Sud? Questo perché, credo, fin da quando nasciamo ci sentiamo condannati a vivere in uno stato emotivo di inferiorità e minorità endemica.
Ora, grazie al lavoro di Patruno, che, nel suo testo, elenca alcune delle eccellenze meridionali, narra di storie di coraggio, di piccole e grandi inversioni di marcia, possiamo finalmente sfatare alcuni miti sulla nostra atavica incapacità di intraprendere la via dello sviluppo. Grazie al libro "Ricomincio da Sud", cambiamo finalmente postura, atteggiamento, e finalmente scopriamo che, altro che palla al piede, se non ci fosse il Sud, l'Italia avrebbe un quarto in meno della sua ricchezza e mancherebbero in tutta Italia, quindi anche nella sedicente autosufficiente Padania, prodotti fondamentali come la plastica o l'acciaio, e mancherebbe a questa nostra Italia, la base logistica sulla quale oggi più si punta: mancherebbe quella testa di ponte nel Mediterraneo, testa benedetta dall'Unione europea come, ne è un esempio, il corridoio otto, progetto, appunto, paneuropeo che favorirà lo scambio di merci e persone collegando i porti di Bari e di Brindisi con l'Albania, la Macedonia e la Bulgaria. Scambio di merci e persone che sarà volano di sviluppo per l'economia italiana tutta.
Storicamente, siamo ormai passati da un semplice mondo bipolare, Est-Ovest, Triade-Cina/India, Nord-Sud, Ricchi-Poveri, ad un mondo multipolare dove non si parla più di macro-aree trainanti, ma di innumerevoli nuovi poli ed il meridione d'Italia è alfiere imprescindibile dello sviluppo italiano nell'area mediterranea. Il Mare nostrum sta riprendendo, pian piano, quel ruolo importante perso secoli addietro; il dialogo coi paesi del bacino mediterraneo riprende e l'Italia, utilizzando il Sud come proprio privilegiato ambasciatore, che di Oriente se ne intende, non può permettersi di perdere l'ennesima occasione. Pena il collasso economico di una nazione, tutta, che certo non può competere con le locomotive dell'Unione europea.
Il Sud, insegna Patruno, c'è ed è più vivo che mai, il fuoco c'è e brucia più ardente che mai, ed è una fiamma pronta ad illuminare le terre al di là del Mediterraneo, fiamma pronta a riprendersi quel ruolo nel Mediterraneo, funzione che anni addietro aveva permesso al borbonico Regno delle Due Sicilie di far parte delle maggiori potenze europee nel diciannovesimo secolo.
Ecco, credo, la personale, o meglio collettiva, battaglia di Patruno: combattere i pregiudizi che vogliono un Sud piagnone e basta, di un Meridione votato allo scacco perenne avente abitanti avvezzi alla filosofia del si salvi chi può e tanto peggio per gli altri. L'autore lotta contro il pregiudizio che vuole uno spirito meridionale impigliato in legacci culturali borbonici, aggettivo anche questo utilizzato nella sua accezione peggiorativa, se non storicamente falsa.
Patruno, da fine divulgatore e archeologo/giornalista, introduce il lettore nel teatrino dei pregiudizi anti-meridionali, strappando poi quello che Pirandello (premio Nobel e peso massimo della letteratura mondiale, italiano sì, ma, permettetemi, anche e soprattutto siciliano), nel suo Mattia Pascal, definiva il cielo di carta, ovvero quel cosmo ben fatto di illusioni, convinzioni che, alla fine, ci permettono di vivere in pace con noi stessi, rassicurati dal nostro essere stati messi da parte, facendo di necessità virtù, tanto non cambia niente, accontentandoci così di un posticino al sole, quando potremmo utilizzare un pannello fotovoltaico su grande scala per produrre energia e, si sa, l'energia è sempre rivoluzionaria. E sempre per citare Pirandello e il suo Uno, nessuno e centomila, dovremmo imparare, come il protagonista Moscarda, a guardarci il naso!
Ho citato Pirandello, permettetemi a riguardo un piccolo volo pindarico che ci porta alla notizia, apparsa e non apparsa sui principali mezzi di comunicazione, della soppressione dai programmi di Letteratura del Ministero della Pubblica Istruzione, di una nutrita schiera di scrittori meridionali, di autori del calibro di Gesualdo Bufalino, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Domenico Rea, Salvatore Quasimodo, Matilde Serao, Anna Maria Ortese, ad opera di una commissione di studio voluta dall'ex ministro Gelmini, bresciana.
Va bene, qualche taglio in letteratura ci può anche stare, ma quali sono i criteri utilizzati da questa commissione? Non dimentichiamo che l'impulso "all'invenzione" della letteratura italiana fu dato da quel genio di Federico II che scelse il nostro meridione come sua reggia...
Questo taglio alla memoria culturale italiana, del Sud in particolare, Patruno mi insegna, è solo uno tanti piccoli soprusi che qualcuno perpetra a danno del Sud senza che nessuno faccia niente. Tanto non cambia niente... di necessità, virtù.
Dicevo, Pirandello, il siciliano parla dello strappare quel cielo di carta che ha imprigionato le coscienze di noi meridionali in una sorta di gattopardismo viscerale: il Sud è il Sud, ed è Sud perché è il Sud... perché provarci? Tanto non cambia niente. Tanto vale accontentarci del sole e del mare, almeno questo non possono togliercelo.
Ma togliere cosa? Può uno Stato togliere ai cittadini, invece di dare? E cosa ci ha tolto? Qualcosa che, evidentemente, avevamo ed ora non abbiamo più!
Bene fa, Patruno, a ricordare come quel processo storico che va sotto il nome di Risorgimento sia stato condotto. Per essere brevi, fu una guerra di conquista ad opera dei piemontesi, stato meno italiano d'Italia, ai danni di uno Stato, quello delle Due Sicilie, che era stato sempre neutrale e nel quale, tuttavia, proprio male non ci si stava. Scontato? Non proprio, se mi affido alla maggior parte dei manuali di storia.
L'altro giorno, ascoltavo una conferenza tenutasi al Senato, credo risalente al 2011, anno in cui si è festeggiato il 150esimo anniversario dell'Unità italiana. L'impressione che ho avuto, ascoltando gli interventi di quei relatori, è stata quella che quei dottori parlavano della situazione attuale del Sud, ben nota a noi meridionali, senza porsi domande di ordine storico che, secondo me, sono premessa alla risoluzione dei problemi. Quella che è mancata, fino a qualche anno fa, è stata l'archeologia della questione meridionale, o meglio, c'è stata, sarebbe folle non citare i nostri Gramsci, Salvemini ecc., ma non è stata abbastanza fatta propria dal meridionale o dal settentrionale medio. Forse volutamente o forse tramite tecniche di distrazione di massa. Questa lacuna è stata finalmente colmata dall'imponente lavoro storiografico, accompagnato (finalmente!) da un sapiente marketing meridionale, cominciato coi lavori di Giordano Bruno Guerri, Pino Aprile e con sostanziale contributo dato dal qui presente Patruno che da anni difende il Sud.
E per effetto valanga, si è ritrovato un orgoglio meridionale che poi si è tradotto nella miriade di movimenti politici e non che Patruno definisce il "Fuoco del Sud". Movimenti troppo spesso bollati come espressione folkloristica di un revisionismo storico o di un negazionismo fatto a ritmo di tarantella. Quelli sono neo-borbonici, quelli sono antistorici, quelli, come diceva un docente dell'Università di Napoli nel convegno di cui ho parlato un momento fa, sono buoni per la sagra di paese o per le iniziative della Pro Loco, come se le sagre di paese e le iniziative della Pro Loco, espressione viva del territorio, fossero da marchiare a priori come "fesserie". Come se lo storico, il giornalista, non avesse diritto di dare dignità storica, ben intenso, dopo un attento vaglio di tipo scientifico, anche al folklore e a ciò che è fino a quel momento era inteso come "fesseria". Anzi, la grande rivoluzione nel fare storia, alla quale nel ventesimo secolo diede un vigoroso contributo il francese Marc Bloch con la nozione di "memoria collettiva", è quella della fesseria, o meglio del dettaglio, della storiella, assurto a fatto storico capace di spiegare fatti storici già acquisiti e già reputati degni. Un po' come Manzoni aveva fatto con la storiella dei Promessi Sposi.
Non si può, e non si deve, liquidare la storia dell'unificazione (se di unificazione possiamo parlare) con "quel che è fatto, è fatto" oppure con "ormai sono passati tanti anni". "La storia è questa e non si cambia". Criterio, per fare storia, profondamente antistorico e antiscientifico. E' come se dicessi: "che mi importa di Giulio Cesare, ormai è morto e poi quello che ha fatto, ha fatto". E buonanotte.
Di certo, nessuno vuole prendere una sega e tagliare l'Italia, come, se non erro, diceva Raffaele Nigro, in un suo testo del 1986, "Colpo di Lega", ma unire, unificare, vuol dire fare i conti col proprio passato. Sarebbe impossibile e sicuramente folkloristico, aggettivo inteso nella peggior accezione, come quindi folkloristiche sono alcune uscite della Lega Nord, oggi, nel 2014, chiedere la restituzione di tutto quello che fu sottratto al Banco di Napoli e poi utilizzato per colmare il deficit del neonato Stato italiano, Banco di Napoli quindi Banca del Sud, distrutta... infatti ricordiamo, brevemente, che al momento dell'Unificazione italiana, fu proibito alle banche meridionali di aprire sportelli al Nord, o, dicevo, sarebbe impossibile chiedere la riapertura di quelle eccellenze industriali come Le Officine di Pietrarsa, Napoli, prima fabbrica italiana di locomotive, rotaie e materiale rotabile, nate nel 1840 su iniziativa di Ferdinando II di Borbone, ma vuol dire sradicare dalle nostre coscienze uno stato (per riprendere Kant, mi chiedo se sia da imputare solo a noi stessi) di minorità endemica presente nel meridionale.
Siamo, certo, italiani. Nel diciannovesimo secolo, il contesto storico, e a dire il vero anche le grandi potenze come la Francia e soprattutto l'Inghilterra, spingevano verso l'unificazione nazionale... ma siamo italiani come lo sono i lombardi o i piemontesi ovvero attori di primo piano della politica nazionale italiana e non "terruncelli" o cafoni ai quali basta, per essere contenti, una ballata di Taranta o un tuffo nell'acqua cristallina del Salento o della Calabria. Questo, è una marcia in più, ma non possiamo e non dobbiamo ridurre l'essere meridionale a un italiano di serie B. Svogliato, evasore, criminale per natura, come propugnavano le vergognose teorie di Cesare Lombroso, al quale il comune di Torino ha dedicato un ancora più vergognoso museo. Siamo italiani di serie A e come tali abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri. Stesso dovere di sentirci, stato quel che è stato, appartenenti allo Stato Italiano, e ma anche richiedenti eguali diritti come quelli ad uno sviluppo reale e non figli delle promesse di questa o quella manovra economica che, come ben spiega Patruno, sanno tanto di presa in giro nei confronti di questi italiani un po' sempliciotti coi quali basta fare "ammuina".
Credo che questa nuova riscoperta dell'orgoglio meridionale più che dividere un'Italia che, ripeto, c'è e tanto meglio che ci sia, la unisce. E la unisce perché finalmente potremo dirci suoi figli legittimi.
Ma, per essere figli legittimi, c'è soprattutto bisogno di genitori disposti a riconoscerli, questi figli. E, mi chiedo, oggi, nel 2014, come posso riconoscermi figlio di uno Stato italiano che riduce, e i pendolari lo sanno bene, le tratte ferroviarie tra Nord e Sud, che riduce all'osso i treni tra Roma e il Sud, che, sempre nel 2014, non ha ancora creato una linea ferroviaria diretta tra Bari e Napoli, come posso credere nella volontà di sviluppo del mio meridione da parte del mio Stato italiano se le infrastrutture non ci sono, se la Salerno-Reggio Calabria è quello che è e che conosciamo, come posso riconoscermi figlio di uno Stato che appoggia, col sorprendente silenzio dei politici nostrani, questo federalismo che, come svela Patruno, potrebbe essere la pietra tombale al nostro sviluppo? Come posso tollerare la vista, ricordo un viaggio lunghissimo in bus tra Bari e Cosenza, di paesini in Basilicata e Calabria, che sembrano rimasti a quel "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi?
Come posso accettare che il mio genitore privilegi una parte, da sempre privilegiata, come il Nord, dimenticando la questione meridionale e creando e strombazzando la neonata questione settentrionale con tanto di supporto mediatico.
E i politici di casa nostra che fanno?
L'autore ha il pregio di aver contribuito al risvegliare le nostre coscienze meridionali. Il Sud deve chiedere, anzi, deve imparare a chiedere, non contributi straordinari o finanziamenti a pioggia che a lungo andare impoveriscono menti e coscienze, sorta di contentino per lagnarsi un po' di meno, tanto fino alla fine si parte comunque verso il Nord. Il Sud deve orgogliosamente rivendicare gli strumenti del mestiere, se questi ci sono stati sottratti un secolo e mezzo fa interessa ormai poco, il Sud deve rivendicare i capitali umani e finanziari per uno sviluppo made in Sud, coscienti della nostra diversità, della nostra storia particolare come tutte le storie... poco interessa sapere chi sia più bravo, se lo sia il polentone o il terrone, non si tratta di una partita di calcio, ma si tratta della partita riguardante una reale unificazione italiana che oggi non si può più rimandare.
L'Italia è un'occasione per il nostro Sud, e il Sud un'occasione per l'Italia, a patto che almeno una reale occasione al Sud sia data.
Per concludere, voglio personalmente ringraziare Patruno per l'iniezione di orgoglio e di ragionato ottimismo che ha dato a me, emigrante meridionale, uomo in fuga dal suo passato e dal suo presente che ora ha voglia di tornare perché se è vero che da qui se ne vanno tutti, è anche vero che qui un giorno ritorneremo tutti.
Quindi, per citare un fondamentale testo di Patruno: "Alla riscossa terroni"!».
Marco Caccavo
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